Cronaca locale

Mussolini tra libri e teatro fa ricchi autori di sinistra

La coppia Scurati-Popolizio è tornata al Piccolo perché il Duce piace più di Marx e Togliatti

Mussolini tra libri e teatro fa ricchi autori di sinistra

Tra gli anni Sessanta-Settanta si affermò, sui palcoscenici italiani, un nuovo genere: il Teatro documento con il compito di portare in scena argomenti di grande attualità sociale, politica e culturale. Fra i primi a realizzarlo furono il Teatro Stabile di Genova e Il Piccolo Teatro di Milano che offrirono una ricca produzione di spettacoli, il cui merito fu di aver inventato un «genere» e avere appassionato il pubblico che partecipava. E partecipava numeroso, grazie ai temi trattati. Era una forma di spettacolo che si asteneva dalla pura invenzione e che si appropriava di un materiale autentico, non romanzato, ben elaborato, capace di offrire una autentica trascrizione della verità storica. Non si trattava di un teatro sperimentale, bensì di un teatro d'arte, quello stesso che caratterizzava la storia dei due Stabili.

Alcuni dei loro spettacoli sono rimasti nella nostra memoria, in particolare quelli messi in scena del duo Vico Faggi, Luigi Squarzina, autori di «Cinque giorni al porto» che trattava il primo sciopero dei portuali genovesi, «Rosa Luxemburg» che rappresentò l'ingresso, in politica, del mondo femminile, «Il processo di Savona» con imputati fra Pertini, Parri, Rosselli. L'impegno dello Stabile di Genova fu eccellente, sia per le grandi produzioni che ne misero in crisi gli aspetti economici, sia per la pubblicazione di volumi che, oltre al testo, offrivano ampia documentazione degli eventi trattati.

Anche le produzioni del Piccolo non furono da meno: la produzione dell'«Istruttoria» di Peter Weiss, realizzata al Palazzo Lido Sport con la regia di Puecher per portare in scena il processo contro un gruppo di SS e di funzionari del Lager di Auschwitz. Un costo altissimo che fece traballare le casse del Piccolo che, però, continuò a proporre, sempre nell'ambito del Teatro Documento, spettacoli come «Il fattaccio di Giugno» di e con Giancarlo Sbragia, sull'assassinio di Matteotti, «Sul caso di Robert Oppenheimer» di Kipphardt, sul pericolo della bomba atomica, con la regia di Strehler, «Viva Bresci» di Tullio Ketisch con Franco Parenti, regia di De Bosio.

Era una forma di teatro che rispecchiava un' epoca e che nasceva da una necessità storica, a dimostrazione che il teatro non vive di occasionalità e di una libera programmazione che, oggi, li rende tutti eguali. Un'operazione culturale che fu possibile grazie a gruppi di lavoro educati politicamente e sociologicamente, in assenza dei quali, il «documento» diventa «divulgazione», come dimostra lo spettacolo «M Il figlio del secolo» di Antonio Scurati, diventato uno spettacolo di Massimo Popolizio, ripreso allo Strelher, dopo il successo della scorsa stagione. Un grande successo anche editoriale, visto che l'autore ha già mandato in stampa il terzo dei cinque volumi annunziati. Come dire che utilizzando il nome di Mussolini, si possono guadagnare milioni di euro, mentre si possono perdere milioni di voti continuando a dire che Giorgia Meloni è l'erede di Mussolini.

Alcuni critici, ricordando i nove volumi già dedicati dallo storico Renzo De Felice al fascismo e a Mussolini, si sono adesso chiesti quale fosse la necessità di riproporre cose già note a tutti, se non una ennesima divulgazione. E si sono ancora chiesti perché Scurati non abbia piuttosto scritto dei libri su Marx o Togliatti.

Per fortuna, Massimo Popolizio ha inventato una messinscena che alleggerisce la parola di Scurati, grazie alla componente comica e per l'uso accorto dell'allegoria del potere, oltre che di una ironia che sconfina nel grottesco, con innesti presi in prestito da Brecht, dall'Avanspettacolo e da Petrolini.

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