Niente saluti romani e solo Tricolori alla cerimonia per i morti della Rsi

Tranquilli, allarme cessato. La temuta invasione di nerboruti fascisti e teste rasate in grado di minare le fondamenta della democrazia nata dalla lotta di liberazione, non c'è stata. I cardini della Repubblica sono salvi e così anche la reputazione di Milano, città Medaglia d'oro della Resistenza. Ora si può finalmente tornare al normale tran tran quotidiano. A discutere della legalizzazione dei centri sociali, quelli sì luoghi dove si coltivano (magari insieme a qualche piantina di maria) i teorici anglosassoni del liberalismo e tra un bancomat sfasciato e una banca vandalizzata, anche i sistemi di pesi e contrappesi nelle democrazie avanzate.
Pericolo scampato, almeno fino al prossimo 25 aprile, quando i partigiani postumi dell'Anpi mostreranno in televisione i capelli dritti e useranno nuovamente qualche quotidiano compiacente per lanciare un nuovo Sos. Come da copione il sindaco Giuseppe Sala smetterà i panni di grande manager e buon borghese moderato e seguirà la corrente della sua deriva sinistra per accodarsi agli strepiti. E indossando la fascia tricolore lancerà il suo severo monito: «Mai più fascisti a Milano». D'urgenza si riunirà il Comitato per l'ordine e la sicurezza che nella città più invasa da stranieri extracomunitari irregolari, tanto da averle regalato nonostante l'assenza di mare l'appellativo di Lampedusa del Nord, impiegherà una bella mattinata per vergare il divieto di andare a salutare i morti al Campo X del Cimitero Maggiore. E poi con aria grave e telecamere accese se ne darà notizia alla comunità, ammonendo i possibili ribelli con la minaccia della loro consegna all'autorità giudiziaria. Un bel teatrino con cui si cercherà di far dimenticare ai milanesi le periferie abbandonate, intere zone semi centrali terrorizzate dalle gang dei sudamericani, la paura di uscire di casa in sempre più quartieri e le case popolari da anni in mano al racket della criminalità straniera. O le case bianche taglieggiate dai rom e che dopo la riverniciatina per la visita papa sono tornate quelle di sempre.
Era Sofocle, ed eravamo nel 442 avanti Cristo, a raccontare la tragedia di Antigone che volle a ogni costo dar sepoltura al cadavere del fratello Polinice contro il volere (che era legge) di Creonte, nuovo re di Tebe. Scoperta, fu condannata e vivere imprigionata in una grotta e prima della decisione del re di liberarla, la fece finita impiccandosi. Potere contro autorità, l'eterno conflitto tra la norma positiva, quella dell'uomo che condanna e una legge che va al di là e che spesso impone di trasgredire.
Non ci sono state svastiche e fasci, ma solo Tricolori ieri alla cerimonia al Campo X che ha ricordato i soldati della Repubblica sociale italiana e civili come gli attori Luisa Ferida e Osvaldo Valenti trucidati dai partigiani, molti a guerra già finita nella mattanza che seguì il 25 aprile. Niente saluti romani al momento del rito militare del «Presente», come chiesto dagli organizzatori dopo il divieto del prefetto e come disciplinatamente è stato accettato dai partecipanti. Nulla a che vedere con la baracconata sconcia di Predappio qualche giorno fa sulla tomba del Duce. Il braccio teso scappa solo a un settantaduenne che si definisce orgogliosamente fascista per non deludere i tanti giornalisti affamati di un mostro da sbattere in prima pagina o di una maglietta demente che magari accostasse Auschwitz a Disneyland. «La denuncia? Ho 72 anni, sapete dove me la metto? Facciano pure, ne vorrei dieci di denunce così». Intorno le Associazioni d'Arma che hanno organizzato la cerimonia e alcuni rappresentanti di Memento, costola di Lealtà Azione e CasaPound.

La lettura della lettera di un condannato a morte della Rsi, ma nessuna messa perché non si è trovato un prete disposto a recitare una preghiera per quei morti dannati dal marchio dei vinti. Anatema senza misericordia di quella stessa chiesa che nell'era fascista faceva a gara per benedire i gagliardetti.

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