Pane e fede: la città dei volontari e dei nuovi poveri

Panis Angelicus, dalle ali bianche come farina, voli dunque ancora su noi? Quel pane che i milanesi hanno preso in questi giorni, per donare un pasto a un povero dell'Opera San Francesco, forse non li ha riportati indietro, alla fragranza che usciva un tempo dal convento di viale Piave. Ritorniamoci. In una delle celle giunse un giorno da Bergamo fra Cecilio Cortinovis per fare il portinaio dal 1910 al 1974. In molti bussano alla sua porta e Cecilio comincia col distribuire ciotole di minestrone. In un giorno del 1959 l'ingegner Emilio Grignani, colpito dalla fila di bisognosi, propone a fratello Cecilio di costruire una mensa al coperto, inaugurata il 20 dicembre '59. Sboccia un miracolo a Milano e in Italia, unico, perché sostenuto dal candore di un frate di cui è in corso il processo di beatificazione.
Oggi l'Opera San Francesco riceve 4 milioni di euro all'anno in donazioni, un bilancio sociale che dall'11 giugno 2013 verrà pubblicato sul sito, racconta frate Vittorio. «Le iniziative quali il pane in piazza non ci portano denaro, ma ci servono per dire: fra' Cecilio opera». Dopo la mensa, che sforna tremila pasti al giorno cucinati da uno chef professionista, sono nate le docce e il guardaroba in via Kramer, il poliambulatorio in via Antonello da Messina, il centro raccolta abiti in via Vallazze e sedici appartamentini sparsi per la città. Prestano le loro forze settecento persone e oggi la coda è quella per diventare volontari, come Giovanna Moretti, che distribuiva le pagnotte al Cordusio, e aspira da quattro anni a entrare nella fila dei volonterosi.
I frati hanno dovuto destinare una doccia anche alle donne, in aumento tra gli indigenti. Tanti bambini nei poliambulatori, seguiti da suor Annamaria, laureata in medicina e psicologia. «La città è operosa - continua fra Vittorio - ma non è facile tenere aperta la mensa tra i vicini che si lamentano per la presenza di gente difficile. L'immigrazione forzata e la povertà scavano ferite sconcertanti negli uomini». Rabbia e ombre vagano nel refettorio, pochi sorrisi, e l'assistenza tocca non solo il corpo ma soprattutto i meandri della mente danneggiata. Viene da fare una domanda, ma fra Vittorio la anticipa. «Siamo andati a cercare se Mada Kabobo fosse tra i nostri ospiti, ma non abbiamo trovato il suo nome. Episodi come quello del piccone rimangono nell'ottica dell'esasperazione momentanea. Coabitiamo con le situazioni di disagio, ma riusciamo a tenerle sotto controllo». Come? «Una creatura è una creatura. Ha bisogno di dignità e affetto.

Se mangio il primo, il secondo, la frutta, anche lei come me deve mangiare primo, secondo e frutta. Se il mio spirito vive donando e ricevendo amore, ogni altro mio fratello ha il diritto di vivere così. E' semplice, anche se non lo è». Come un Santo chiamato Cecilio.

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