Il Pd vuole tirargli la volata Ecco perché Pisapia scappa

Prima i renziani lo hanno messo alle strette, adesso lo lusingano. Magari con la staffetta: solo due anni in Comune e poi ministro

Il Pd vuole tirargli la volata Ecco perché Pisapia scappa

Pisapia ci ripensa oppure no? È comprensibile che irriti Lele Fiano (candidato alla successione) ma il tormentone dell'estate è proprio questo. Il sindaco andrà avanti col proposito di lasciare o correrà per il bis? Allora, sicuramente Pisapia è stanco. E fare il sindaco è «devastante» come ha raccontato Gabriele Albertini parlando di Giuliano. Pisapia nel 2016 avrebbe 67 anni. Dieci più di Letizia Moratti nel 2006, 20 più di Albertini nel 1996. Questo ha il suo peso. Come pesa l'orgoglio: dopo aver tentato di spiegare all'universo mondo, alla vigilia di Expo, che aveva sempre pensato di fare un mandato solo, ora dovrebbe rispiegare a tutti che in realtà no, non era vero. Difficile.

Pesano anche ragioni politiche. I rapporti con Renzi non sono mai stati idilliaci. Al tempo delle prime primarie l'allora sindaco di Firenze cercò di lusingarlo in un Dal Verme pieno, indicandolo come ministro della Giustizia ideale. Le ultime indiscrezioni vedono Renzi ancora impegnato in un pressing per convincere «Giuliano» a restare al suo posto. Al tentativo, va detto, non è stato dato molto credito all'inizio. Sembrava il «bel gesto» con cui lo sbrigativo segretario Pd pensava di indorare la pillola alla sinistra. Un po' galateo politico e un po' boutade. Ora però quest'opera di convincimento di Renzi su Pisapia sembra diventata seria, anche se (per ora) infruttuosa.

Cosa è successo? L'analisi più accreditata è che il quadro sia cambiato. Tutto era iniziato nel 2010 con un Pd robusto ma sconfitto alle primarie. Erede del complesso di inferiorità dei Ds milanesi. Vecchiotti, impreparati, poco attrattivi per la città che conta. Un Pd rappresentato da una vicesindaco incolore, Maria Grazia Guida, umiliato dalla defenestrazione del capodelegazione Stefano Boeri. E ancora, snobbato da Ada Lucia De Cesaris, succeduta a entrambi senza mai diventare «il volto del Pd nella giunta». Anzi.

La prima svolta dopo il 2011 si è registrata alle Europee. Dettata da una legge semplice della politica: chi ha i voti prima o poi li vuol far pesare. Il Pd nel 2014 ha raggiunto il 45% a Milano. Un trionfo renziano. E ha preteso un «cambio di passo». Ha giudicato intollerabile l'assetto del potere del 2011. L'attuale segretario Pietro Bussolati al tempo delle elezioni per la segreteria, aveva definito così quei rapporti di forza: «Siamo stato ininfluenti». E si è aperta allora la stagione del Pd trionfante e un po' arrogante. Che ha preteso di dettar legge, che ha posto a Pisapia ultimatum e veti: «Se vuole fare il leader politico deve decidere chi rappresenta e con quali obiettivi». I renziani si erano stancati di un sindaco che faceva da pivot fra il Pd delle (presunte) «riforme» e la sinistra anti Expo. Si è sfiorata la crisi. I titoli di quei giorni? «Ora comandiamo noi». La linea sulla candidatura? «Se Giuliano vuole tocca a lui, altrimenti abbiamo tante alternative».

Bene, ora è cambiato tutto un'altra volta. Siamo in un altro film. Per tanti motivi. Il primo: le «tante alternative» non si vedono. Il commissario Expo Giuseppe Sala è sempre meno interessato, non vuol restare invischiato con primarie o altre astruserie di partito. La suggestione del «grande borghese» Ferruccio De Bortoli è tramontata. Gli autocandidati alle primarie, intanto, hanno l'aria dei perdenti di successo («le candidature non esistono» ha detto ieri Bussolati). Ma non è tutto. C'è il secondo motivo: il clima volge al brutto, il Pd arrembante che tracimava nel bacino elettorale del centrodestra si è inaridito. Il Nord gli ha voltato le spalle (vedi Veneto e Liguria). L'insediamento elettorale è tornato più o meno quello della «ditta» di Pierluigi Bersani. E oggi il centrodestra è riorganizzato e fa paura. Renzi è pieno di guai dalla Sicilia a Roma. E si è arroccato a difesa del potere. Tornato a più miti consigli, si è messo a rincorrere Pisapia, promettendo di tirargli la volata. Ma Pisapia, stanco e orgoglioso, per ora scappa e resiste. Anche alle lusinghe. Qualcuno è arrivato a ipotizzare anche una sorta di staffetta che lo vedrebbe due anni a Palazzo Marino e poi proiettato a Roma (guardasigilli, vice premier, giudice alla Consulta, si è detto di tutto). E per ora sogna di diventare presto leader della cosa che nascerà a sinistra del Pd.

Dal «non lo escludo» al «mai dire mai». Il passo successivo sarà il «me lo stanno chiedendo». Stefano Boeri prepara l'annuncio della discesa in campo bis. In un'intervista rilasciata al giornale on line Linkiesta ha detto «mai dire mai». Ha stroncato la ex vicesindaco Ada Lucia De Cesaris, chiamandola «moralista aggressiva». E ha stroncato gli assessori (ex colleghi): «Dovevamo noi creare la nuova classe dirigente di questo Paese - ha detto - invece Firenze ci ha superato». Sono passati - volati - cinque anni dall'avventura elettorale dell'archistar. Candidato con un annuncio sui giornali, fu sconfitto da Giuliano Pisapia alle primarie del centrosinistra, complice anche il bel risultato del giurista Valerio Onida, che portò via al candidato democratico un voto su otto. Boeri ottenne un parziale risarcimento con la significativa affermazione alle elezioni vere, nel 2011 ottenne infatti 13mila preferenze dando un bel contributo all'affermazione di Pisapia e del Pd. Fu ricompensato con l'incarico di assessore alla Cultura e capodelegazione in giunta del Pd. Ma la tregua durò poco e fu prontamente defenestrato dal sindaco.

Oggi Boeri ha una voglia matta di riprovarci e tutto sommato la stagione politica sembra anche più propizia per lui, abbastanza in linea con Matteo Renzi e la sue parole d'ordine. In effetti si può dire che l'unico attuale limite di Boeri sia l'aver perso cinque anni fa. Come Umberto Ambrosoli, sconfitto da Roberto Maroni alle Regionali del 2013 ma con un'attenuante: Ambrosoli nella città Milano ha ottenuto più voti di Maroni. Sono state le altre province a voltargli le spalle. Ambrosoli e Boeri sono oggi i candidati ombra, e si aggiungono a quelli già usciti allo scoperto, il renziano moderato Lele Fiano, il non-renziano Pierfrancesco Majorino e l'outsider Roberto Caputo. «Sto seguendo con interesse, ma credo che i veri giochi si faranno a settembre» ha detto l'archistar dei due potenziali rivali (suoi sostenitori nel 2010).

Fiano d'altra parte ha confermato: «Bisognerà aspettare ancora un mese per conoscere la data delle primarie del centro sinistra per le elezioni comunali del 2016. Si deciderà a settembre». E tutto fa pensare che a settembre vorrà giocare anche Boeri. Tanto che i suoi collaboratori garantiscono che c'è già una «processione» di amici, che vogliono convincerlo a riprovarci.

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