Pdl, la grande intesa ha vinto Gallera nuovo coordinatore

Pdl, la grande intesa ha vinto Gallera nuovo coordinatore

Alla fine ha vinto Giulio Gallera e sarà il coordinatore cittadino del Pdl dopo Luigi Casero. Per lui l’80 per cento dei voti, contro il 20 di Pietro Tatarella. Con un’affluenza percentuale superiore rispetto al congresso provinciale (9.400 le tessere qui). Di dubbi ce n’erano pochi vista la «grande alleanza» scesa in campo per appoggiare l’ex assessore della giunta Albertini e oggi presidente della commissione Società partecipate del Comune, ma il partito ha scoperto di poter contare su un giovane di grande valore, l’appena ventottenne Tatarella a cui non è tremata la voce nella sala dell’Unione del commercio dove ieri si è celebrato il primo congresso milanese. Mattatore Silvio Berlusconi, il tesserato più prestigioso della sezione che ha difeso il segretario Angelino Alfano e annunciato che l’acronimo «la» Pdl non funziona più. E che dunque presto si cambierà. Nome al partito e forse non solo, mandando già in soffitta il nuovo inno suonato ieri. Per Berlusconi cabina allestita sul palco per un voto davanti all’intera platea, così come l’imperatrice Costanza d’Altavilla già quarantenne, per fugare ogni dubbio partorì nella piazza di Jesi il futuro Federico II.
Lontanissimi i toni aspri di tre settimane fa al «provinciale» con lo scontro tra l’ex an Sandro Sisler e Guido Podestà, è andata in scena la sfida tra il giovane e il giovanissimo. «Noi - le parole di Tatarella - siamo i ragazzi dell’89, quelli che hanno cominciato a far politica dopo il muro di Berlino, dopo la caduta delle ideologie». Per il coordinatore nazionale Ignazio La Russa «questi congressi sono la vera dimostrazione di un partito che ha saputo guardare a un orizzonte più lungo della vita politica della sua classe dirigente». Soddisfatto anche Podestà: «Rivendico di aver cambiato tutti e due i congressi, se non ci fosse stato il confronto, Berlusconi non sarebbe venuto, tanta gente non sarebbe venuta». A un appuntamento fissato a pochi passi da quel teatro di piazza San Babila, dove il Cavaliere lo scorso aprile tenne quell’ultimo pirotecnico e indubbiamente travolgente comizio, fatto di programmi e canzoni in milanese per lanciare la campagna elettorale della Moratti. Si sa come finì. Col vento rosso-arancione di Giuliano Pisapia che prima travolse lady Letizia e ora spazza la città a raffiche di tasse e rincari. Ecco perché due giovani per ripartire proprio da Milano. Laboratorio in Lombardia, dove oggi si celebrano le primarie per il sindaco a Como e i congressi di Pavia e Varese. Da una parte la «grande alleanza» tra i berlusconiani laici del coordinatore regionale Mario Mantovani, i ciellini di Roberto Formigoni, gli ex An di Ignazio La Russa, i socialisti della famiglia Colucci e i neo dc di Mimmo Zambetti. Per Tatarella, invece, l’area liberal di Podestà. Viste le forze in campo è chiaro che ieri non ci fosse competizione. «Ma a chi mi chiede - l’arringa dal palco di Tatarella - se sia il caso di bruciarmi già così giovane con una candidatura, io rispondo cosa a questa stessa domanda rispose un imprenditore affermato e di successo come Berlusconi quando decise di scendere in campo. Lo fece e basta. Con coraggio». Poi sferza la «casta romana». Quegli onorevoli «che mandiamo a Roma e che qui poi si rivedono solo dopo cinque anni». Applaude Gabriele Albertini che siede vicino al suo storico vice Riccardo De Corato. Nei corridoi è tutto un tessere. Mancano due mesi alle amministrative. E la lamentela più diffusa è sull’invadenza di La Russa e degli ex An. Che dopo essersi presi il coordinamento provinciale con Sandro Sisler, anche nelle altre città hanno «incassato molto più di quanto pesino». Perché «loro sono più partito di Fi e la regola del 70 a 30 non è mai stata rispettata. Dove c’era uno di noi il vice era loro e viceversa. Quindi s’è fatto al 50 per cento. E oggi paghiamo». Un tema che non vale solo a Milano.

E che infastidisce Tatarella secondo cui «il male è stato occuparsi più della gestione del potere che della vera radice del perché ci si debba impegnare in politica, ovvero il bene comune». Già a mezzogiorno può parlare da vincitore Gallera. «D’ora in poi la politica non si farà con i professori, ma scendendo tra la gente».

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