Ci sono voluti quattro anni e mezzo e due gradi di giudizio per ottenere giustizia e arrivare al tanto sospirato «assolti perché il fatto non sussiste». Una sentenza ancora più agognata se si considera che riguarda due appartenenti alle forze dell'ordine. Carabinieri in pattuglia che avevano «osato» entrare e controllare dei nordafricani sospetti nell'ex residence di via Cavezzali 11, nel mezzo di via Padova e allora, da anni, ancora irrecuperabile «fortino della droga» e regno delle occupazioni abusive. I due militari in pattuglia - entrambi carabinieri semplici che ora hanno 37 e 29 anni - erano stati così denunciati da tre abusivi che vivevano nel palazzo ai quali durante quell'intervento si erano limitati a controllare i documenti. I nordafricani in questione li avevano invece accusati di rapina e lesioni. E per rendere ancora più credibile il loro racconto, quella sera avevano anche avvertito un'ambulanza, lamentando che uno di loro era stato aggredito e picchiato, fino a rompergli un dente. Era il 5 gennaio 2015. Il 4 aprile 2017 i carabinieri, in primo grado, dopo il rito abbreviato, erano stati accusati il primo di false dichiarazioni al pm e falsa testimonianza, il collega più giovane di rapina e lesioni. Mercoledì scorso la terza sezione penale della corte d'appello di Milano, li ha assolti entrambi con formula piena. Nel frattempo, il 5 aprile 2018, il «fortino» è stato definitivamente sgomberato.
Come ci spiega l'avvocato Lucia Lucentini, legale del carabiniere più giovane, lui e il collega, entrambi in servizio alla stazione dell'Arma di Gorla Precotto, quella sera decidono di fermarsi e salire fino all'ottavo piano del palazzo di via Cavezzali 11. È là infatti che, non appena notata la vettura con i colori d'istituto transitare davanti allo stabile, sono scappati tre nordafricani impegnati a bere birra davanti al «fortino» abusivo. Controllano così i documenti a un algerino e a due marocchini, scoprendo che si tratta di tre uomini tra i 25 e i trent'anni che occupano abusivamente gli appartamenti dello stabile degradato e che sono clandestini e nullafacenti.
Quando i militari se ne vanno, due di loro chiamano il 118: «Abbiamo trovato il nostro amico disteso a terra davanti alla porta del suo appartamento, che perdeva sangue dalla bocca e con un dente spezzato. Lo hanno picchiato i carabinieri». A loro dire i militari, dopo aver perquisito casa senza trovare nulla, li avrebbero rapinati di 350 euro, per poi passare al pestaggio dell'amico. Una messinscena quella dell'aggressione. Così come un cumulo di menzogne sono tutte le altre dichiarazioni. Eppure in primo grado il gip Mariacarla Sacco dà ragione agli stranieri e mette in scacco i militari, giustificando, tra l'altro, le affermazioni spesso stentate dei primi con la loro scarsa dimestichezza con la nostra lingua. Poco importa se già durante le indagini preliminari si scopre che i due marocchini, intercettati, s'incontrano per non fornire versioni contrastanti al processo.
In Appello, incrociate le dichiarazioni dei testi, i giudici capiscono subito che i
nordafricani non hanno mai detto la verità. La Corte chiede così, oltre all'assoluzione dei carabinieri che la Procura proceda per calunnia e falsa testimonianza nei confronti dei nordafricani. Che nel frattempo, però, sono spariti.
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