Incostituzionale. Oltre che gravemente penalizzante per la Scala. Così il sindaco, l'avvocato Giuliano Pisapia, che da presidente della Fondazione ha guidato il consiglio d'amministrazione riunito ieri per parlare del decreto legge Cultura che dedica ampia (sgradita) attenzione alle fondazioni lirico-sinfoniche. «Un monstrum giuridico» secondo il cda che prende una posizione «pubblica e ufficiale» contro il decreto.
«C'è il rischio di una situazione di crisi irreversibile» è l'allarme rilanciato ancora una volta da Pisapia. Interventi di modifica sono «vitali per il futuro della Scala che è un eccellenza mondiale». E il consiglio d'amministrazione chiede al governo che si possano fare le dovute correzioni già nei prossimi mesi «prima che arrivi una situazione irreversibile». Arriva qualche rassicurazione dal ministro della Cultura, Massimo Bray, che parla di «valorizzare le peculiarità di ogni singola realtà, a partire proprio dal Teatro alla Scala di Milano e l'Accademia Santa Cecilia di Roma». Ma la partita è ancora aperta.
Sono soprattutto le nuove regole di governance del Teatro a creare sconcerto: il timore è che determinino una fuga degli investitori privati, che contribuiscono non poco a garantire vita e attività del Piermarini. I membri del cda scenderebbero da 11 a 7, escludendo di fatto soci fondatori che contribuiscono con milioni di euro l'anno al bilancio. Inoltre il consiglio avrebbe solo una funzione di indirizzo e non più decisionale.
Pisapia sottolinea come la Scala sia un unicum nel panorama italiano e invece è stata inserita in un decreto che mette sullo stesso piano le 14 fondazioni lirico-sinfoniche del Paese. Eppure i conti della Scala non sono in disordine, o addirittura in profondo rosso, come avviene in molte altre realtà. Osserva il sindaco: «Forse non si è valutata la specificità della Scala. Questo non significa non comprendere che ogni teatro è importante, ma che la Scala ha da diversi anni il pareggio di bilancio e vuole mantenerlo. Ha le forze per andare avanti, però non bisogna mettere ostacoli».
È proprio questa differenza a rendere ipotizzabile un ricorso alla Corte costituzionale: mentre altre fondazioni sono al fallimento e quindi per loro esistono le caratteristiche di urgenza richieste per un decreto legge, la Scala è in una situazione normale, non di «straordinaria urgenza» e quindi non si può intervenire con un decreto legge. Così argomenta Pisapia, che comunque mostra un certo ottimismo sull'andamento dei lavori parlamentari: «Gli ordini del giorno approvati a larghissima maggioranza alla Camera ci danno la convinzione che da parte del governo ci possa essere un passo avanti».
Il cda ha rimandato a lunedì prossimo, 14 ottobre, un altro tema caldo: il bilancio.
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