Principesse o lavandaie I volti femminili dell'arte

Al Museo del paesaggio di Verbania un viaggio tra i ritratti che raffigurarono la modernità

Francesca Amè

«Bisogna pitturà col fiàa», bisogna dipingere col fiato, diceva Daniele Ranzoni mentre dava vita alle sue composizioni eteree. Le sue donne sembrano fatte di luce: persino personalità importanti come Margherita di Savoia o la regina Vittoria paiono inconsistenti sulla tela. Sono loro ad aprire con grazia la mostra in corso al Museo del Paesaggio: siamo a Verbania, sul lago Maggiore (lo stesso Ranzoni era nato a Intra) e negli spazi museali riaperti giusto un anno fa Elena Pontiggia cura ora «I volti e il cuore. La figura femminile da Ranzoni a Sironi e Martini» (fino al 1° ottobre).

È un viaggio in ottanta opere e undici sezioni nella storia dell'arte tra la fine dell'Ottocento e la prima metà del Novecento in cui la donna, in tutte le sue declinazioni, diventa la cartina al tornasole per osservare come cambia, in pochi decenni, la sensibilità artistica. «Si comincia con la leggerezza scapigliata di Ranzoni e si giunge alle riflessioni di Martini, con figure ritratte in un tempo senza tempo», commenta Pontiggia. In mostra una consistente porzione delle collezioni permanenti del museo di Verbania: sono figure femminili declinate negli ambienti domestici o sotto forma di romantiche eroine o protagoniste di opere votive. Pitture e sculture di taglio tradizionale, quelle di Ambrogio Alciati, Giulio Branca, Guido Boggiani. Sorprende invece la sezione dedicata al lavoro: lavandaie, donne timoniere sul lago, contadine sono i soggetti dell'arte realistica del tempo che intende denunciare le disperate condizioni lavorative cui erano sottoposte le donne alla fine dell'Ottocento. Una difficoltà che persino per le artiste si traduceva in malcelata sopportazione. Merito della mostra è dedicare spazio a due firme femminili che avrebbero meritato maggior fortuna: l'irlandese ma laghée d'adozione Sophie Brown e Adriana Bisi Fabbri, cugina di Boccioni e allieva di Previati. Cinque loro dipinti bastano per suggerirci il fascino ambiguo delle donne simboliste: donne quali «La principessa Pignatelli» della Bisi Fabbri, eroine moderne e arbitre del proprio destino come l'«Eva» della Brown, ritratta sola nell'Eden mentre coglie la mela senza l'aiuto del serpente e neanche l'ombra di Adamo. Questo accadeva sulla tela, ma nella vita reale queste artiste com'erano considerate? «Nessuno le prendeva sul serio spiega Elena Pontiggia -. Per loro la pittura era la vita non un passatempo domestico, ma furono costrette a sopportare un educato disprezzo da parte dei contemporanei verso i loro lavori». Peccato, perché le opere esposte a Verbania ne testimoniano, invece, la potente modernità.

Le tre sale finali sono dedicate ad Arturo Martini, Mario Tozzi e Mario Sironi (con opere prestate della collezione Isolabella e di Cristina Sironi, sorella dell'artista). Di Martini, che a Verbania ha trovato una sorta di seconda casa giacché l'ultima compagna, Egle Rosmini, era di queste zone e ha donato molte opere dell'artista al Museo del Paesaggio, spiccano le donne «donatellesche», ordinate e perfette e se vi affascina la sua arte oggi alle 18 ai musei Civici di Monza Elena Pontiggia presenta «Arturo Martini. La vita in figure» (edita da Johan&Levi), ricostruzione dettagliata della biografia del grande scultore.

Se per Tozzi il corpo femminile è presenza importante, quasi ingombrante, e le sue donne sono intrise di un realismo magico che pare portarle in un'altra dimensione, la mostra si chiude con i

disegni di Sironi, compreso quello preparatorio della «Vittoria Alata» per il grande affresco dell'aula magna della Sapienza di Roma. Qui la donna diventa monumento-simbolo, emblema dell'arte destinata a non morire mai.

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