Quegli scatti in bianco e nero nella Milano del neorealismo

Da Alinari alla Fondazione Matalon: le fotografie di Nino De Pietro alle periferie del nostro Dopoguerra

Stefano Giani

Senza fronzoli. Milano, patria di emarginati e lavoratori, culla di speranze e sofferenze. Immagini di un dopoguerra fatto di sogni e macerie che testimoniavano un recente passato di angoscia. Sogni di un futuro che avrebbe abolito fame e distruzioni, ma intanto c'era un presente da affrontare e correggere. Miracolo a Milano si fece interprete di questa povertà e lasciò che si volasse su una scopa nel cielo della città. I film del Neorealismo sottolineavano il lato oscuro di quegli anni, per questo non piacquero ai governi di allora benché fossero graditi agli italiani e all'estero. Con due titoli De Sica si aggiudicò l'Oscar - nel '48 con Sciuscià e nel '50 con Ladri di biciclette - e altre due statuette le avrebbe vinte in seguito, quando quella nobile corrente cinematografica che vantava anche Antonioni, Rossellini, De Santis, Lattuada, Germi e Visconti avrebbe esaurito il suo fulgore.

Scatti fotografici di quella stagione culturale e di una città oggi dimenticata sono i pezzi pregiati della mostra Schegge di periferia: il Neorealismo a Milano in programma da dopodomani al 31 marzo alla Fondazione Matalon in Foro Buonaparte 67. È materiale pregiato quello che i Fratelli Alinari e la Fondazione per la storia della fotografia di Firenze mettono a disposizione dei visitatori. Clic celebri, firmati da Nino De Pietro che percorre «disordinatamente» le strade cittadine immortalando straordinarie sequenze fotografiche dove si accavallano i luoghi della vecchia periferia. I navigli e i cortili delle case di ringhiera con le tracce delle incursioni aeree della II guerra mondiale. La neve a Sesto e le scritte sui muri. Le ferrovia a San Cristoforo. La Trattoria del Risveglio, oasi di genuinità. Le baracche di viale Plebisciti e il vicolo dei Lavandai, tanto caro al fotografo che, nel tempo, vi avrebbe stabilito il proprio studio. La fiera di Sinigaglia con le sue minutaglie che sapevano di solai impolverati e ricordi ingialliti, gli oggetti di lavoro, le biciclette, i panni stesi ad asciugare e i tram. I manifesti del cinema e quelli strappati dai muri rievocano una stagione che il progresso ha cancellato del tutto ma alimentano la nostalgia per le sale periferiche dove ancora si fumava e si entrava a spettacolo in corso, per poi rivedere l'inizio o forse tutto il film.

De Pietro si attiene a «quel» neorealismo, vis i ispira, ritrae i suoi soggetti come su un set di De Sica, in

modo distaccato e appassionato con un rigore prezioso perché oggi è l'ultima viva testimonianza di anni lontani. Uno squarcio sul passato che non ritorna ma resta impresso nelle memorie di chi lo visse coltivando quei sogni.

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