Quelle «stazioni di benzina» nella nuova piazza Castello

Ecco le strane isole che popoleranno l'area Dopo l'«Ago e filo», una sequela di ecomostri

Quelle «stazioni di benzina» nella nuova piazza Castello

Mentre faticosamente incedono i lavori di ripavimentazione di piazza Duomo in corso da oltre una anno (il cantiere riuscirà a togliere le tende per il primo maggio?), comincia a prendere forma l'installazione ribattezzata «#Nevicata14» che cambierà definitivamente il volto a piazza Castello. Questo weekend è avvenuto il primo dei tre incontri pubblici tra i cittadini e i progettisti, una passeggiata di circa un'ora per approfondire i dettagli delle lavorazioni e le soluzioni tecniche adottate, favorire l'appropriazione degli spazi e «un'armoniosa convivenza di tutti i soggetti interessati». La nuova piazza, ideata dal team Guidarini&Salvadeo + Snark, diventerà un'area sgombra da ogni dislivello, cablata con una rete tecnologica sotterranea e ricoperta da calcestro bianco che darà alla pavimentazione un aspetto lattigginoso. C'è molta attesa, anche se l'impatto dei grandi «funghi» bianchi visibili da ieri ai piedi del Castello ricorda molto quello delle tettoie dei distributori di benzina. Faranno da copertura alle «isole» rivestite da una nevicata di gomma bianca, creando zone d'ombra estive e riscaldate d'inverno. Il tutto per un budget decisamente «chip» imposto a tutti i concorrenti: 200mila euro. Il futuro di un centro città quasi interamente pedonale è certamente intrigante; però forse, visto il budget, potevano essere sufficienti ampie aiuole e comode sedute.

Ma sono alcuni anni ormai che le giunte milanesi non resistono al fascino poco discreto del «mammozzone», in un'epoca in cui invece l'architettura urbana tende ad essere sempre meno invasiva. Di «mammozzoni» la città ha iniziato a popolarsi all'indomani dell'«Ago e filo e nodo» dello scultore Claes Oldenburg che ha stravolto piazzale Cadorna ma mai quanto l'orrenda stazione rossa e verde realizzata da Gae Aulenti. Per non parlare della costruzione della tettoia e del cosiddetto parco delle Arti in piazza Piemonte, vero pugno in un occhio davanti alla facciata del Teatro Nazionale, solo parzialmente ridimensionato dopo le furibonde proteste dei cittadini. Altrettante polemiche suscitarono, tornando in zona Castello, le due piramidi bianche di Expogate, il sito di accoglienza ai turisti posizionato in piazza Beltrami che copre in gran parte alla vista la torre del Filarete. Tante sono state le critiche e le obiezioni, giustificate dal fatto che sarebbe stata plausibile una struttura meno invadente, o realizzata con materiali più leggeri (Louvre docet...). Da un «mammozzone» all'altro, che dire dell'ecomostro di cemento che sta sorgendo di fronte alla Triennale per ospitare la nuova biglietteria formato Expo? Un basamento di cemento lungo 17 metri e largo dieci su cui i comitati del no hanno già detto di tutto. E pensare che ci troviamo nell'enclave che racchiude la memoria storica dell'architettura milanese, che di campioni ne ha sfornati parecchi. Macchè. Tale e tanta è la smania di cemento in questa città, che è stata rievocata persino la buonanima di Alberto Burri per riedificare, in occasione del centenario dell'artista, il suo mastodontico «Teatro continuo» nel cuore di parco Sempione, unica area verde degna di questo nome entro la cerchia dei Navigli.

Con tutto l'amore per l'arte, quel teatro di cemento fu concepito dall'autore in un'epoca contraddistinta dalla cultura degli happening. Ma nella città più inquinata d'Europa abbiamo proprio bisogno di un'altra Woodstock?

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