La rabbia di Robledo: «A Podestà 5 anni di cella»

Il pm al centro della querelle con il procuratore Bruti Liberati chiede pene dure anche per Mardegan, Turci, Marino e Calzavara

La rabbia di Robledo:  «A Podestà 5 anni di cella»

«Sapete che io sono sempre disponibile con la stampa, ma adesso proprio no. Non dico niente e credo che mi capirete». É un Guido Podestà visibilmente scosso quello che ieri sbuca dall'aula dove è sotto processo per le firme false che quattro anni fa consentirono la presentazione del listino di Roberto Formigoni alle elezioni regionali. Il pubblico ministero Alfredo Robledo - che anche sulla gestione di questa inchiesta si è pesantemente scontrato con il procuratore capo Edmondo Bruti Liberati, fino a venirne esautorato - ha da poco finito la sua requisitoria. Che chiedesse al giudice di condannare il presidente della Provincia era scontato. Meno prevedibile è l'entità della pena che il magistrato propone per Podestà: 5 anni e otto mesi di carcere. Una stangata. Non è il massimo della pena prevista dal codice, che può arrivare fino a dieci anni. Ma è comunque molto di più di quanto le difese degli imputati si aspettavano.

Insieme a Podestà il pm ha chiesto di condannare a 4 anni e 8 mesi di carcere i consiglieri che avrebbero materialmente firmato gli elenchi con le firme false: Massimo Turci, Marco Marino, Barbara Calzavara e Nicolò Mardegan, oggi coordinatore milanese dell'Ncd. Tutti sono accusati di avere eseguito gli ordini di Podestà, nelle ore convulse del 25 febbraio 2010, quando il termine per la presentazione delle liste stava per scadere, il listino venne modificato all'ultimo momento per cambiare qualche nome, e bisognava recuperare all'istante le firme dei sottoscrittori.

Podestà, dopo la requisitoria, tace. Ma parla il primo dei suoi difensori, il professor Paolo Veneziani, e chiede l'assoluzione con formula piena, perché gli atti del processo dimostrerebbero senza incertezza che l'attuale presidente della Provincia «non diede alcuna indicazione» su come rimediare alla mancanza di firme. Alla prossima udienza parlerà l'altro difensore, Gaetano Pecorella, e il 28 novembre arriverà la sentenza. A rendere difficile la posizione di Podestà, c'è indubbiamente l'ordine sparso in cui i protagonisti della notte dei pasticci si sono comportati davanti alle indagini dei carabinieri. Aveva cominciato Barbara Calzavara, tirando in ballo Clotilde Strada, funzionario del Pdl, e indicandola senza mezzi termini come il gestore della pratica. La Strada si era levata d'impaccio ammettendo tutto quanto, e accusando a sua volta Podestà: che nella serata del 25 febbraio, messo davanti al rischio di non poter presentare la lista, le avrebbe detto «usiamo gli elenchi»: ordinandole cioè di prendere i nomi dei simpatizzanti del Pdl da vecchie liste elettorali, e di copiarli sulle nuove. Dopo avere inguaiato il suo ex leader, la Strada ha patteggiato la pena.

Ieri la Calzavara torna a cercare di limitare i danni ammettendo, in un accorato monologo davanti al giudice, di avere «sbagliato in buona fede, ho autenticato quelle firme perché ho eseguito un ordine».

E Luca Giuliante, avvocato di Massimo Turci, spiega che comunque il suo assistito agì in stato di necessità, perché se non si fosse presentata per tempo la lista, sarebbero stati i cittadini lombardi a pagarne le conseguenze, non potendo votare per il partito che alle elezioni raccolse poi la maggioranza assoluta: «una grave anomalia politica e un danno per gli elettori».

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