Sala fa il milanese imbruttito. E sgrammaticato

Operazione simpatia tra Instagram, slang giovanile e qualche congiuntivo che zoppica

Federica Venni

Vuole dimostrare di essere «uno di noi», un cittadino qualunque. Un milanese doc, anche se la sua carta d'identità parla brianzolo. Giuseppe Sala l'ha presa un po' troppo sul serio questa mission. Così, stemperato lo stress di una campagna elettorale in cui non si è mai sentito a suo agio, ha deciso di sciogliere le briglie e vestire i panni del Milanese Imbruttito. Non c'è frase in cui non si conceda qualche espressione da piazzetta del liceo. Sabato sera, ospite alla Festa dell'Unità allo Scalo di Porta Romana, ha dato il meglio di sé, ma non è la prima volta. Insomma, Beppe vuol fare il giovane e tra uno scatto di Instagram e l'altro, si diverte con lo slang.

L'imperativo categorico delle sue giornate, il suo habitus, sia che cammini con la fascia da sindaco sia che passeggi in borghese, è «vado i giro per la città senza tirarmela»: dall'Hub per l'accoglienza dei profughi di via Sammartini, alle cerimonie istituzionali, al giretto tra le bancarelle di via Fauché, Sala vuole fare il tipo easy. Lui, che in campagna elettorale è stato additato come un candidato moscio (copyright della coordinatrice di Sel e consigliera di Palazzo Marino Anita Pirovano), oggi si prende la sua personale rivincita: «Ora sono più tonico». Bella lì Beppe, perché se è vero che «non è che sono nato imparato», prima o poi ci si abitua anche a palchi e teatrini della politica. Sì «tonico», perché sui temi battuti in campagna elettorale - le periferie e le case popolari, tanto per cambiare - «non voglio perdere neanche un colpo». Soprattutto adesso che il premier, con la firma del famigerato e squattrinato Patto per Milano, ha puntato i riflettori sulla città come «riferimento dell'Italia nel mondo».

Anche se, siamo mica fessi, «sia chiaro che Renzi» non è venuto sotto la Madonnina «con due miliardi e mezzo in tasca».

E poi c'è il tema dell'immigrazione, riguardo al quale il sindaco ancora non si capacita dei «no» schieratisi contro la soluzione del Campo Base Expo, con «quelle baracche lì» belle pronte per l'uso. Che dai, mica pizza e fichi, ma «fior fior» di sistemazioni. Certo, non belle come la sua ormai famosa casa in Svizzera per la quale è stato indagato: indagine poi archiviata, perché «mica sono un pirla io che prima pago le tasse e poi non dichiaro».

In tutto questo bailamme, infine, c'è anche un programma elettorale da realizzare: e qui Sala è molto soddisfatto perché in questi mesi «siamo stati dei draghi». A detta sua l'aveva vista lunga, dunque, il ministro Maurizio Martina che per avere un suo sì alla candidatura «mi ha martellato fino a sfinirmi».

Fin qui tutto bene, diciamo così, se non fosse che la prosa del sindaco, ogni tanto, si prende qualche licenza poetica su congiuntivi e simili. Come quel «non vedo l'ora che si va al referendum», così «poi ci occupiamo d'altro». Sarà che gli piace fermarsi a chiacchierare con i bambini e allora, così, per farsi capire meglio, semplifica la sintassi.

Come ai giardinetti di Bande Nere, dove si fa riprendere mentre, seduto su una panchina, chiede al piccolo Alessandro come vorrebbe diventasse il parco giochi: «Ma la cosa che ci tieni di più?».

Ué Beppe, ci hai convinti, sei uno come la «gente». A posto così.

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