Scatta l'allarme adozioni Mai così poche a Milano

Lo scorso anno 338 domande, erano 550 nel 2012 La Asl: «La causa? Il boom di fecondazioni assistite»

Maria SorbiQuando alla Mangiagalli viene abbandonato un bimbo appena nato, il telefono del reparto suona senza tregua talmente tante sono le richieste di adozione. Non altrettanto avviene per i bambini cresciuti nelle case famiglia o di accoglienza. Soprattutto per quelli più grandicelli e con qualche problema (spesso più di uno) fisico o psicologico. Loro restano lì, scartati dagli aspiranti genitori che sognano di stringere tra le braccia un bambolotto biondo e paffutello e non un ragazzino con un mare di traumi alle spalle. Il discorso è crudele ma è così. E per di più la Lombardia, che è sempre stata la regione con il numero record di adozioni (6.300 richieste registrate fino al 2012) ha registrato un drastico calo delle richieste da quattro anni a questa parte: fino al 2012 si viaggiava sulle 550 richieste all'anno, poi si è passati a 460. Nel 2015, facendo una fotografia del territorio dell'Asl di Milano, le coppie disponibili sono 338 e 242 quelle in attesa di concludere l'iter di adozione. Come mai un calo così forte? Innanzitutto per la crisi. Se il bambino da adottare è all'estero bisogna sostenere le spese del viaggio e del soggiorno per poterlo conoscere e in tanti non se la sono sentita di chiedere l'aspettativa in questo periodo. Fino a poco tempo fa il diritto alla maternità (retribuita) scattava solo nel momento in cui il bambino entrava in Italia. Ma c'è un altro aspetto che spiega il calo di richieste. «Il motivo si chiama fecondazione assistita - spiega Marisa Portoni, responsabile del centro adozioni della Ats, la ex Asl di Milano -. Sono sempre di più le coppie che fanno ricorso alla cosiddetta Fivet e negli ultimi anni l'assistenza alla procreazione si è molto diffusa, soprattutto in Lombardia. Basti pensare che il 90 per cento delle coppie che si rivolgono al nostro centro per adottare un bimbo lo fa solo dopo il terzo tentativo di fecondazione fallito». Come se l'adozione fosse l'ultima spiaggia per diventare genitori. Chi da sempre opera nel settore si batte per far capire che non deve essere così. E, alle coppie che denunciano iter di adozione troppo complicati e una burocrazia farraginosa, gli assistenti sociali replicano: «Per fortuna è così. Serve a mettere alla prova la vera motivazione di chi vuole diventare genitore». «Il percorso per poter adottare un bambino non è così lungo - spiega Maria Grazia Benassi dell'associazione famiglie adottive e affidatarie - è importante considerare tutti gli aspetti. Anche perché capita che alcune coppie rinuncino al bambino dopo averlo già portato a casa perché non si sentono in grado». Succede a circa il 25 per cento di chi adotta, spiegano negli uffici della ex Asl. E la rinuncia comporta, al di là dell'ennesimo trauma da abbandono al bambino, anche il mobilitarsi di servizi sociali e strutture pubbliche. Ci sono altri problemi da affrontare per migliorare l'iter delle adozioni. E soprattutto prima di modificare la legge e seguire l'impostazione Cirinnà.

«Innanzitutto - spiegano ancora all'Anfaa - bisogna creare quella banca dati che dovrebbe esistere dal 2001 ma che non c'è e che aiuterebbe a incrociare le richieste delle coppie con i dati dei minori dichiarati adottabili dal Tribunale dei minori. E poi ci vuole sostegno per le cosiddette adozioni complesse, cioè quelle che riguardano ragazzini con più di 12 anni e con qualche disabilità».

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