Scossa Sardone sul voto Ma alla fine l'azzurro Fermi conquista il Consiglio

Ufficio di presidenza, la Lega impone due uomini e nel partito cresce la rabbia per i milanesi esclusi

Scossa Sardone sul voto Ma alla fine l'azzurro Fermi conquista il Consiglio

Non sarà il discorso del re, ma nell'aula del Pirellone vibra il tono delle occasioni importanti. «Il consiglio regionale è un organo al pari del presidente e della giunta e come tale dovrà comportarsi, con pari dignità e non in funzione subordinata». Così parlò l'azzurro Alessandro Fermi, designato dai vertici di Forza Italia e appena eletto presidente del consiglio regionale a grande maggioranza (55 schede su 80), dopo una votazione che ha regalato diversi momenti di suspance. «Anche al Pirellone, non solo alla buvette della Camera, abbiamo le nostre saghe» scemava la tensione negli intervalli delle lunghe votazioni con appello nominale.

Al centro della scena gli occhi lucidi Silvia Sardone, elegante in abito nero con fascia rossa e cappottino avvitato a bottoni dorati. Esclusa dalla giunta regionale nonostante il consistente risultato elettorale, in un primo momento è sembrato che la consigliera regionale potesse coagulare intorno a sé un gruppo consistente di ribelli alle scelte di Forza Italia. Sette alla prima votazione, undici alla seconda, dodici alla terza e poi di nuovo nove al decisivo, quarto scrutinio. Un aiuto è arrivato anche dai grillini e da altri scontenti di centrodestra, ma la Sardone ha comunque incassato un premio di consolazione dall'opposizione interna. Difficile dire che la ripaghi del torto che ritiene di aver subito.

Alla fine degli scrutini, il comasco Fermi (in rapporto al territorio, uno degli azzurri più votati: 8600 preferenze) è stato eletto con più voti del suo predecessore Raffaele Cattaneo, che nel 2013 ne aveva ottenuti 49, e ha raggiunto il risultato ottenuto dal leghista Davide Boni nel 2010. «Organo al pari della giunta», «non in funzione subordinata», dice così il neo presidente del consiglio regionale, anticipando la linea del gruppo e dell'aula.

La maggioranza di due terzi significa che l'accordo con il Pd, guidato in aula da Fabio Pizzul, ha retto alla prova del voto. Così il Partito democratico ha ottenuto il vicepresidente, Carlo Borghetti. Segretario d'opposizione è il 5 stelle Dario Violi, candidato alla presidenza della giunta regionale e votato in aula da trentadue consiglieri regionali.

A colpire gli alleati è che la Lega, sin dalla prima seduta, ha fatto capire di voler esercitare il proprio potere senza concedere sconti. Nell'ufficio di presidenza, oltre a indicare la vicepresidente dell'aula Francesca Brianza, ha imposto anche un secondo uomo, il consigliere segretario Giovanni Malanchini. Forzatura irrituale rispetto a ciò che è sempre accaduto nelle scorse legislature in quello che è un organismo politico di garanzia. Un tentativo di blindare Fermi che ha scontentato anche i leghisti milanesi, perché speravano fosse scelto uno dei loro invece del bergamasco neo segretario (che infatti ha ottenuto solo 38 voti).

Il partito di Salvini ha anche scelto di lasciare fuori Manfredi Palmeri di Energie per l'Italia, candidato al ruolo di segretario, nonostante il partito facesse parte della coalizione che ha sostenuto Fontana. Si ipotizza una «compensazione» al parisiano Alberto Cavalli con un ruolo nel cda di una qualche società regionale, ma le prime mosse del Carroccio non paiono orientate a «senso di responsabilità» e «spirito di sacrificio» da primo partito della coalizione, è la voce degli scontenti.

Dopo una giunta a larga maggioranza leghista, anche in

consiglio l'esordio non è stato all'insegna della condivisione. Ora tutti attendono le prossime scelte per valutare se lo spoils system monocolore sarà sistema di governo o se la gestione si ammorbidirà e si farà più collegiale.

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