Un en plein che dura da ben otto anni. Già, perché a leggere i dati degli spettatori dei concerti delle ultime otto edizioni di «Aperitivo in Concerto» salta all'occhio un risultato che ha del clamoroso: non c'è concerto che non abbia registrato il «tutto esaurito».
«C'è voluto tempo e un lavoro certosino, ma alla fine siamo riusciti a costruire un rapporto di fiducia con il nostro pubblico. Ormai ci conoscono e sanno che, anche se proponiamo loro nomi sconosciuti, noi di bidoni non li rifiliamo mai», commenta non senza una punta di orgoglio Gianni Morelenbaum Gualberto, da 21 anni direttore artistico della kermesse, nata per la volontà di Fedele Confalonieri, che chiude i battenti dell'edizione numero 31 (12 show per quasi 9 mila spettatori: non pochi per Milano, ndr) con il matinèe di domani mattina alle 11 al Teatro Manzoni. L'ospite di giornata? Il quartetto capitanato dal sopranista Daniel Zamir, forse il jazzista israeliano più «in» del momento, accompagnato per l'occasione dal batterista Amir Bresler, il pianista Nitai Hershkovits e il contrabbassista Gilad Abro. Originario di un sobborgo di Tel Aviv, il 33enne sassofonista è stato scoperto e lanciato a livello internazionale da John Zorn che, non a caso, ne ha pubblicato tre album sull'etichetta personale Tzadik e lo ha voluto con sé nelle varie incarnazioni del progetto-collettivo Masada. «Per quel che mi riguarda, mi piacerebbe riportare a Milano proprio Zorn, che qui da noi è stato l'ultima volta sette anni fa. Purtroppo, sono cambiati i tempi e, nonostante possiamo contare su privati che investono meritoriamente nella musica, i budget non sono più quelli di una volta o comunque non più in grado di coprire i costi degli ambiziosi progetti zorniani», confida Gualberto. Comunque, non c'è di che lamentarsi. Sì, è vero storicamente «Aperitivo in Concerto» è ancora poco frequentato dai più giovani («a quell'ora, beati loro, dormono ancora», scherza il patron), ma il cartellone, perennemente in bilico tra tradizione e moderno, non perde il vizio di investigare: «Ammettiamolo, il jazz contemporaneo non se la passa poi così tanto bene. La sua forza è sempre stata quella di fagocitare e fare proprie le musiche altrui. Ora che tutto è fagocitato, contaminato e trasversale vive un momento di crisi - argomenta il direttore artistico originario di Recife, Brasile -. Sono certo però che, specie negli Usa, la musica improvvisativa possa trovare nuove risorse. Dopo la grande influenza della diaspora africana, le più recenti ondate migratorie dell'Asia e dell'America Latina avranno riflessi importanti sulla scena jazz statunitense».
Nemmeno quest'anno, Gualberto ha smentito il suo fiuto da talent-scout: «È vero, abbiamo avuto un mammasantissima come Roscoe Mitchell, ma il concerto più di successo, a sorpresa, è stato quello degli Industrial Revelation.
Questi ragazzi di Seattle fanno un genere ipercontaminato, ma hanno un approccio, un'energia e una vitalità espressiva priva di intellettualismi rara da incontrare e che ci ha regalato una benefica ventata di freschezza. E pensare che è stato lo show più economico e che quando li ho invitati a Milano non avevano nemmeno il passaporto».
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