Taglieggiavano le ladre rom Ai poliziotti 7 anni di pena

Condannati i due che in Centrale chiedevano il «pizzo» alla banda di borseggiatrici. Ora cacciati dalla polizia

Taglieggiavano le ladre rom Ai poliziotti 7 anni di pena

Sette anni di carcere ciascuno, interdizione perpetua ai pubblici uffici, «espulsione» dalla polizia. Arrivano come una doccia fredda (anche se in linea con le richieste del pm) le condanne su Cosimo Tropeano e Donato Melella, poliziotti accusati di aver approfittato del bottino dei furti di alcuni rom in stazione Centrale che invece avrebbero dovuto perseguire. I due agenti, che hanno spesso seguito le udienze, non erano in aula alla lettura della sentenza dei giudici della Quarta sezione penale, presidente Oscar Magi. Le accuse erano di concussione e ricettazione.

Tropeano e il collega più giovane Melella erano finiti ai domiciliari nel dicembre del 2015. Con loro erano stati arrestati 23 rom serbo bosniaci, molte le donne, accusati di aver monopolizzato con un'organizzazione ben strutturata la rete dei borseggi in Centrale per oltre un anno. Soprattutto durante Expo. L'operazione era stata condotta dalla Squadra mobile e dalla Polfer, coordinate dal pm Antonio D'Alessio. Il testimone dell'accusa era poi passato a Letizia Mannella. I poliziotti condannati in primo grado erano molto esperti nel contrasto ai furti con destrezza. In servizio all'anti borseggi della sezione Crimini diffusi della stessa Mobile, erano assegnati appunto alla stazione. Tropeano in particolare è uno «sbirro» di lungo corso molto noto nell'ambiente, dove si era guadagnato il soprannome di «Serpico». In passato era stato alla Polmetro e aveva ricevuto diversi premi proprio per uno stato di servizio da record: un borseggiatore arrestato al giorno, raccontavano le cronache di qualche anno fa. Ieri Tropenao ha ribadito la propria innocenza attraverso i difensori, che hanno annunciato il ricorso in Appello. Per lui e Melella, già sospesi dal servizio al momento dell'arresto, la corte ha dichiarato «estinto il rapporto con la Pubblica amministrazione di riferimento». Oltre ad aver stabilito la confisca di 1.500 euro a testa, la cifra che si sarebbero intascati, e l'interdizione legale per la durata della pena. I giudici hanno infine trasmesso gli atti alla Procura, che dovrà approfondire due episodi indicati nel dispositivo e valutare eventuali nuove contestazioni.

Secondo le accuse, gli agenti pretendevano denaro dai membri della banda di ladri. In alcuni casi avrebbero anche minacciato le donne nomadi che non volevano pagare di arrestarle (cioè, di fare quello che avrebbero dovuto) e di far togliere loro i figli. L'inchiesta era partita dalle denunce delle stesse rom e per più di un anno Mobile e Polfer avevano tenuto sotto controllo i colleghi. Nel fascicolo sono entrati molti filmati ripresi dalle telecamere di sorveglianza della Centrale. Nelle intercettazioni inoltre le giovani parlavano spesso, e con timore, di Tropeano e Melella che conoscevano bene e chiamavano «Dilò» e «il ragazzino». I due, secondo la Procura, in cambio del «pizzo» da una parte le proteggevano, lasciandole agire indisturbate, e dall'altra le taglieggiavano. L'episodio più pesante finito agli atti è quello del 10 ottobre 2014. Quel giorno le nomadi, che prendevano di mira facoltosi turisti giapponesi, americani o arabi e riuscivano a racimolare dai 5mila ai 20mila euro a settimana, non avevano rubato abbastanza per soddisfare i poliziotti. Quindi vennero portate in Questura, dove i loro parenti dovettero consegnare 3mila euro di «cauzione» per liberarle.

In un altro caso Tropeano e Melella avrebbero ignorato un turista derubato che reclamava il proprio portafogli. Al momento dell'arresto il gip Giuseppe Vanore scriveva che anche «fuori dall'orario di servizio» avrebbero continuato la «ricerca ossessiva delle borseggiatrici», seguite fino ai loro alloggi.

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