Non potrà riaprire la moschea abusiva che era sorta nel cortile interno di un condominio di via Faà di Bruno 14, alle spalle di viale Molise, e che per anni aveva resistito tanto alle proteste degli abitanti del palazzo che agli ordini di sgombero, emessi dal Comune ma mai effettivamente eseguiti. Ieri il Tar della Lombardia ha emesso la sentenza che chiude ogni spazio di rinascita alla moschea e stabilisce anche un principio importante: anche in assenza di opere edilizie, trasformare un laboratorio in un luogo di culto richiede una autorizzazione senza la quale si è davanti ad un abuso edilizio a tutti gli effetti.
A trasformare nel 2015 lo scantinato di via Faà di Bruno in luogo di preghiera era stata una comunità islamica particolare: quella proveniente dallo Sri Lanka, paese a maggioranza buddista e induista, ma anche con una radicata presenza cattolica. Gli islamici cingalesi hanno una tradizione sufista e tollerante, ma negli ultimi anni sono stati colonizzati dalla predicazione salafita e dal verbo della jihad.
Già nel 2016 il condominio era riuscito ad ottenere un ordine di ripristino dei locali all'uso originario, mai rispettato: nello scantinato, affittato formalmente allo Sri Lanka Islamica Welfare Center, continuavano a tenersi riunioni, attività culturali ma anche e soprattutto funzioni religiose. A lungo il centrodestra del Municipio 4 aveva chiesto l'intervento del Comune per mettere fine alla situazione, considerata a rischio anche per la sicurezza, visto il numero di persone che si accalcavano nei locali.
Nel marzo 2018 il Comune aveva ordinato di demolire le opere edilizie realizzate senza autorizzazione e di riportare il laboratorio alla funzione originaria. Il centro islamico, spalleggiato dai proprietari dei locali, ha sostenuto che non era stata realizzata alcuna opera e che l'utilizzo a fini di preghiera era sporadico. Ricorso al Tar, e nel frattempo tutto continuava come prima.
A febbraio scorso la moschea chiude: una mossa tattica, per evitare la confisca dei locali, ma i suoi legali insistono nel ricorso, pronti a riaprire se il Tar avesse dato loro ragione. E invece no. I giudici ritengono «definitivamente appurata» la trasformazione in luogo di culto: «Una variazione essenziale sanzionata con l'obbligo di demolizione».
«È una sentenza importante - dice Paolo Bassi, presidente del Municipio 4 - perché premia l'impegno con cui per anni, senza manifestazioni di intolleranza ma con fermezza, ci siamo battuti contro l'illegalità che si consumava in via Faà di Bruno.
Quando ero ancora all'opposizione ho passato serate intere nel cortile dello stabile insieme ai suoi abitanti, chiamando ripetutamente la polizia locale di fronte ad un andirivieni che proseguiva fino alla mezzanotte. Per non parlare dei piccioni sgozzati fatti trovare in cortile: un gesto di cui non conosciamo i responsabili ma che gli abitanti hanno vissuto come una minaccia esplicita nei loro confronti».
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