Tre opere in tre anni: Cecilia Bartoli «riassunta» alla Scala

Dal 2012 era rimasta lontana da Milano, ora Pereira ha richiamato la mezzosoprano

Piera Anna Franini

Bentornata a Milano, Cecilia. E di Cecilia ce n'è una sola nel mondo della musica. Si chiama Bartoli, la cantante che più di tutti sa far felice la propria casa discografica - la Universal - considerato che in trent'anni di carriera ha totalizzato ben dodici milioni di copie tra audio e video. In più, è direttrice artistica del Festival di Pentecoste di Salisburgo, che con lei fa immancabilmente sold out, nonché firma di progetti artistici unici e spesso arditi, ma regolarmente riuscitissimi. In sintesi: è la donna che più conta oggigiorno nel mondo della lirica.

Cecilia Bartoli torna alla Scala per un progetto triennale. Dal 2019, ed entro il 2021, ogni ottobre sarà coinvolta in un'opera di Haendel. Si parte con Giulio Cesare, quindi Semele e nel 2021 Ariodante. I primi due titoli sono prodotti dalla Scala e il terzo sarà condiviso invece con il festival di Salisburgo. «Ma tutti e tre nascono alla Scala» chiarisce subito Alexander Pereira che già all'inizio dell'incarico come sovrintendente si mise sulle tracce della Bartoli. Il mezzosoprano di Roma (Cecilia è nata nel 1966) mancava a Milano dal 2012, anno in cui un suo concerto divise il pubblico. Fu un evento storico perché altrove la cantante unisce e basta. Il consenso è unanime. Ma alla Scala si è fatti così.

Bartoli è una che fa le cose per bene, nulla è lasciato al caso. È indicativo il fatto che risieda a Zurigo, abbia un marito e un efficientissimo staff, rigorosamente elvetici. Così come una delle icone svizzere per eccellenza, Rolex, la supporta da vent'anni. E la sosterrà anche nei progetti italiani. Perché oltre al progetto di tre opere da eseguirsi in autunno alla Scala, Bartoli & Pereira hanno lanciato l'idea di una Fondazione di musica barocca. «Vorrei coinvolgere i ragazzi dei Conservatori italiani: i giovani sono i futuri ambasciatori del nostro patrimonio. Recentemente sono stata a Matera, volevo far vedere a mia mamma i Sassi di Matera. Ho fatto una visita in conservatorio e i ragazzi mi hanno accolto con un boato, mi hanno detto Vieni qui. Ecco lì s'è accesa la scintilla. Sì, dobbiamo fare di più, dobbiamo coinvolgere i nostri ragazzi e i teatri italiani in un bel progetto di musica barocca».

Già si sta pianificando un ponte con il San Carlo di Napoli. «Perché la Scala è il teatro di punta, mancava l'opera barocca quindi è giusto rilanciarla. Ma è Napoli che è stata determinante per il barocco in musica. A Napoli sono nati tanti lavori, aveva quattro conservatori, era centro d'attrazione dei più importanti musicisti. La sovrintendente Rosanna Purchia ha dimostrato un grande entusiasmo per il nostro progetto», spiega la Bartoli. E Pereira di rincalzo: «È opportuno far vedere al Paese che la Scala non si isola. Una Scala forte rende forti anche gli altri teatri. Abbiamo avuto anni in cui ci siamo dovuti concentrare sui nostri problemi, ma ora possiamo guardare oltre pensando a collaborazioni». E narra il percorso fatto per arrivare al sì della Bartoli. Primo step. Far scaturire dal grembo scaligero un ensemble dedito alla musica barocca. Fatto. Quindi proporre annualmente titoli del Settecento su strumenti originali. Fatto anche questo. Date le premesse, Cecilia Bartoli ha finalmente detto sì. Anzi un sì che si protrae per almeno tre anni.

Il debutto è fissato per l'ottobre 2019 con Giulio Cesare in Egitto di Handel con la regia di Robert Carsen e la direzione di Giovanni Antonini.

La Bartoli sarà Cleopatra, Bejun Mehta sarà Giulio Cesare, Philippe Jaroussky Sesto. Gli altri due titoli saranno affidati invece alla direzione di Gianluca Capuano. Chiuso il progetto-Handel, non si escludono autori dell'area partenopea: Pergolesi, Jommelli, Traetta, Paisiello, Cimarosa, Porpora.

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