A trent'anni diventa tatuatore grazie al Fondo della Diocesi

Un sogno nel cassetto e la precarietà che bussa alla porta di casa, rompe le serrature, entra senza invito. Simone voleva diventare tatuatore, ma davvero, e non solo dipingere frecce, cuori e farfalle in casa, su una sedia incorniciata dalle mura della provvisorietà. Trent'anni e nessun lavoro stabile per sbarcare il lunario in modo degno, dignitoso. Lui invece, italiano nel nome per scelta dei genitori egiziani, poi italiano d'elezione, insomma italiano doc, era deciso a farcela.

Ha consultato il bando del Fondo Famiglia Lavoro della Diocesi, ha visto che c'era anche per lui la possibilità di diventare imprenditore di se stesso. Ha chiesto un prestito per quella che chiameremmo una start up , se non fosse che la parola evoca affari rutilanti e non storie difficili di chi nemmeno viene ricevuto in ufficio, se per caso si presenta in banca a chiedere un prestito.

E invece, nello spirito della fase due del Fondo voluto dall'arcivescovo, Angelo Scola, grazie alla solidarietà dei milanesi viene premiata la voglia di scommettere, il desiderio di mettersi in gioco di chi non va in cerca di assistenzialismo, ma di occasioni per ripartire. «Un buon investimento ha un nome e una faccia» recitano i maxiposter della fase due che tappezzano Milano. Simone A., di Tradate, ci ha messo la faccia: ha presentato un business plan e ha ricevuto un prestito da 20mila euro.

A garantirlo con le banche la Fondazione San Bernardino, fondazione antiusura promossa dalle Diocesi lombarde, sostenuta grazie alla solidarietà del Fondo. Ora Simone ha uno studio professionale. Naturalmente si è impegnato a restituire il prestito fino all'ultimo euro.

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