Cronaca locale

Tutti i falsari "illustri" che hanno contribuito alla storia dell'arte

In Pinacoteca un incontro sul libro scandalo di Bellet, un viaggio tra le «bufale» dei musei

Tutti i  falsari "illustri" che hanno contribuito alla storia dell'arte

Tutto può succedere nel folle e irresistibile mondo dell'arte: eccezioni che diventano la regola, allievi che superano i maestri o addirittura, e non è raro, falsi che surclassano gli originali. Così quando Thomas Hoving, ex direttore del Metropolitan Museum di New York, dichiarò nel 1997 che il 40% delle opere nel suo museo erano false, tutti pensarono alla solita «sparata» all'americana. Di fatto, oggi ci si domanda se la cifra non sia inferiore alla realtà. E la questione non riguarda solo il «Met», che pure, con oltre 2 milioni di opere di ogni epoca, rappresenta un campione più che significativo. «Forse è quello del falsario il mestiere più antico del mondo», è la provocazione lanciata dal giornalista di Le Monde Harry Bellet, autore del gustoso libro Falsari illustri (Skira), che verrà presentato oggi alle 18.30 nella Sala della Passione a Brera. Dal greco Pasitele, che nel I secolo a.C. ingannava i contemporanei riproducendo fedelmente le statue dei grandi artisti dell'epoca, fino al pittore e falsario tedesco Wolfgang Beltracchi, protagonista del più grande processo sulla contraffazione degli ultimi anni, il viaggio attraversa la storia dell'umanità. Colpi di scena e curiosità si rincorrono tra le pagine: come quella volta che, a pochi mesi dall'apertura del Beaubourg, scoppiò l' «affaire Mondrian»: due falsi smascherati grazie a indagini filologiche sulle tele, con argomentazioni vicine a quelle che, nel '400, portarono l'umanista Lorenzo Valla a mettere in dubbio la Donazione di Costantino. Passano i secoli, ma il gusto della falsificazione resta: «Camille Corot avrebbe realizzato 3mila dipinti, dei quali 5mila sono negli Usa», si sente dire nelle gallerie. Peccato che c'è chi ha speso un capitale per certe croste: è il caso del collezionista Jousseaume, che ne possedeva un paio di migliaia, finite poi disperse come la biblioteca del manzoniano Don Ferrante. Nemmeno il Louvre andò esente da imbrogli: la cosiddetta Tiara di Saitaferne, acquistata per 200mila franchi d'oro a fine Ottocento, si rivelò opera di un moderno incisore di Odessa. Non a caso si tratta dello stesso oggetto che Arsenio Lupin, il ladro gentiluomo di Leblanc, utilizzava come copritelefono nel rifugio di Etretat. Di falso in falso, si arriva ai finti Picasso traditi dai prezzi troppo bassi, o ai Basquiat contraffatti svelati da improvvisi dejà-vu. Nessuno, però, riesce ad essere più falso di un artista vero: lo sanno bene gli studiosi di Michelangelo, che in gioventù non disdegnò le contraffazioni. Dal Rinascimento vero a quello simulato: anche Eric Hebborn era un artista, ma non visse nella Firenze cinquecentesca, bensì a Londra nel Novecento. Ingannò, coi suoi disegni, raffinati esperti.

C'è anche un «falso» che salva, come insegna Han van Meegeren, il «Vermeer redivivo» che beffò Göring: accusato di collaborazionismo, evitò l'ergastolo dimostrando di essere un falsario.

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