Varzi, la torre delle streghe e i segreti di un crocevia

Terre di monaci e viandanti, vie del sale e pellegrini Le tracce dei Longobardi e quel rogo di 560 anni fa

Varzi, la torre delle streghe e i segreti di un crocevia

Sta in questo mistero il fascino di Varzi: nel suo starsene così, magicamente sospesa nel tempo e nello spazio, in un equilibrio in cui pare bastare a se stessa.

Quello stesso equilibrio si ritrova nelle pietre e nei colori del suo centro medievale, costruito su cinque diversi livelli, e si ritrova nei sapori nella sua tavola. Giocando su una proverbiale ritrosia, si dice che il segreto delle specialità culinarie di Varzi sia custodito gelosamente dentro le cantine, sotto i caratteristici portici, al riparo insomma dalle possibili tentazioni di un commercio esasperato. Certamente sono il frutto, queste specialità, di sapienti tecniche artigianali e di antichissime influenze storiche, benedette poi da un microclima unico, che risulta dalla fortunata combinazione di temperature, esposizione, umidità e vicinanza al mare.

Terra di viandanti e pellegrini, di mercanti e locande, l'Oltrepò è al crocevia di quattro regioni (Lombardia, Piemonte, Liguria ed Emilia), e nelle sue valli fa incontrare la brezza salina che risale dal mare e i venti freschi della montagna. Con un cartello all'ingresso del paese, Varzi si definisce orgogliosamente «capitale del salame», il più antico del mondo si dice, quel salame che il Gambero rosso descrive «rustico e scapigliato, un po' anarchico e un po' brigante», «la migliore aristocrazia dei salami italiani». Il consorzio è nato 35 anni fa dopo tentativi iniziati negli anni Cinquanta, nel 1996 è arrivata la Dop. Le origini di questo insaccato d'eccellenza paiono risalire ai Longobardi: «Ai tempi di Rosmunda e Alboino, di Teodolinda e Adelchi - racconta il Gambero Rosso - il salame di Varzi già esisteva. Nel Medioevo i monaci benedettini perfezionarono la ricetta».

Gli insediamenti originari, in queste zone, erano quelli dei Liguri, a cui si deve probabilmente l'etimologia di Varzi (da fiume, il torrente Staffora che la attraversa). Col monastero di Bobbio, Varzi ebbe grande impulso e proprio la longobarda Teodolinda favorì l'abbazia di San Colombano. Varzi allora era ancora parte della corte di Ranzi e fu con i Malaspina che finalmente assunse centralità. Nel 1164 Federico Barbarossa ricompensò la loro fedeltà con l'investitura feudale su corti e castelli e territori che da Rivanazzano arrivavano alla Lunigiana. I Malaspina, poi evocati anche da Dante, scesero da Oramala per insediarsi a Varzi, nel 1275 nacque il feudo, col castello, e nel 1320 gli statuti di Varzi, che citano per la prima volta la torre «in petram», la torre Malaspina che oggi è tornata visitabile ed è chiamata «torre delle streghe» (delle strìe). Il paese sede del marchesato iniziò a svilupparsi con «lotti» di case e con i suoi famosi portici, usati per mettere a riparo le cavalcature, e coi profondi magazzini che servivano a ricoverare le derrate. La via del sale scavallava al Penice o al Brallo, prima di scendere verso Genova e il Levante. Da Pavia e Piacenza la strada era quella.

Sono le vicende che ricostruisce, nella sua «Storia di Varzi» in due volumi, Fiorenzo Debattisti, che ha avuto il merito di riscoprire negli archivi locali proprio la vicenda delle streghe, che risale al 1464, quando 25 donne, e un numero imprecisato di uomini, furono condannati al rogo dall'Inquisizione (condotta probabilmente da un domenicano) e poi bruciate in piazza (forse davanti all'attuale Municipio) con l'accusa di eresia e stregoneria - appunto. Una fu accusata di aver «cotto» i cinque figli «con il foco». Passati secoli pare una fiction e suscita curiosità e fantasticherie. In Curia giacevano ancora gli atti di altri processi dell'Inquisizione. L'abate Fabrizio Malaspina, ricostruendo le vicende della sua famiglia, aveva citato questo episodio delle streghe, che è stato poi scoperto da uno storico piacentino, Cristoforo Poggiali, e infine riportato alla luce proprio da Debattisti.

La torre è stata usata in seguito come prigione, e fino agli anni Sessanta i Carabinieri avevano conservato lì due camere di sicurezza. In seguito è stata a lungo inaccessibile ma ora è di nuovo visitabile.

Alta 29 metri, perfettamente quadrata, con muri spessi due metri e mezzo, nella torre si sale da una stretta scala ricavata nei muri perimetrali che permette l'accesso alle quattro camere di sicurezza sovrapposte l'una all'altra. Dall'alto si ammira un panorama unico. E sembra di vedere ancora quei monaci, quei mercanti, quei pellegrini.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica