Vietato non toccare. All'Hangar a Bicocca arriva la "sharing art"

Artisti internazionali espongono opere da condividere, comporre e anche da mangiare

Vietato non toccare. All'Hangar a Bicocca arriva la "sharing art"

Dice Hans Ulrich Obrist il curatore d'arte per eccellenza, la cui ambizione è «realizzare i sogni degli artisti con cui lavoro» che «le mostre devono provocare esperienze straordinarie». Cose come: prendere o donare un capo di vestiario o un oggetto, scattarsi una fotografia con una macchina fotocopiatrice, ritrarre un modello in posa, farsi un selfie d'artista, indossare spillette creative, lasciare le proprie impronte sul pavimento o timbrare, con apposite scritte, un foglio bianco. E poi ancora, contribuire a un progetto benefico, esprimere un desiderio e attaccarlo a una profumata pianta di limoni, mangiare letteralmente un'opera d'arte di marzapane.

Se pensate che l'arte contemporanea è roba noiosa e poco comprensibile ai più, visitate a Pirelli HangarBicocca «Take Me (I'm Yours)» (fino al 14 gennaio), affascinante progetto di sharing art firmato da Obrist, Christian Boltanski, Chiara Parisi e Roberta Tacconi. Assicuriamo che farete tutte le cose descritte sopra e molte altre perché al contrario di ciò che accade di solito nei musei, qui tutte le opere d'arte sono oggetti, reali o immateriali, da toccare, condividere, consumare. È una mostra che parla ai cinque e sensi e che per questo diverte e coinvolge: il visitatore è invitato a costruirsi la sua' mostra, prendendo all'ingresso una borsa di carta dentro la quale mettere, letteralmente, pezzetti di opere in serie che sono esposti nell'hangar. Pronti per esser portati via.

«Mi piace l'idea di una mostra che illustri quanto l'arte contemporanea sia cosa di tutti, da condividere», dice Obrist. Bisogna dedicare tempo (ed empatia: non i soliti paio di secondi davanti a un'installazione) per attivare' i vari oggetti esposti. Boltanski e Obrist già nel '95 avevano proposto «Take Me (I'm Yours)» alla Serpentine Gallery di Londra e da due anni la mostra gira, in diverse versioni, per il mondo. E se la prossima tappa sarà a Buenos Aires, a Milano dice Obrist ha una specificità tutta sua: accanto alle pile di vestiti di seconda mano accumulati da Boltanski per essere presi dal pubblico (Dispersion, il nome dell'opera) c'è la giocosità dei ritratti di Francesco Vezzoli, il selfie su Instagram di Franco Vaccari, il delicato progetto di vendita benefica (si trova nel bookshop) di Baruchello, il poster di Boetti a sua volta donato e contaminato da Maurizio Cattelan.

Si entra con la borsa di carta ideata da Boltanski e la si riempie con i poster di Tillmans, con le spillette dai motti dissacranti del duo Gilbert & George, con i cioccolatini firmati Casten Höller, si pescano scatole di sardine grazie a Daniel Spoerri, si mangiano i biscotti della fortuna di Ian Chang, si sceglie una caramella da tappeto luccicante creato da Félix Gonzales-Torres.

Il tutto, dopo aver espresso un desiderio su un foglietto da attaccare a un profumato albero di limoni, così come chiede Yoko Ono.

Non aggiungiamo altro, ché questa è una mostra che deve incantare e stupire: «Terminerà quando finiranno le opere a disposizione e diventerà qualcosa d'altro in un'altra città», dice Obrist che definire un curatore è limitante.

È il genius loci di ogni progetto contemporaneo capace di riscrivere le regole: all'HangarBicocca ripensa il circo dell'arte contemporanea con leggerezza rivoluzionaria: «L'arte è prima di tutto condivisione: si attiva solo con la presenza o l'interazione del visitatore», dice. Tradotto: l'arte ha bisogno di noi.

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