Militari scettici sull’Afghanistan: «Ritiro troppo drastico, rischi alti»

L’annuncio di Barack Obama di ritirare 33mila soldati dall’Afghanistan entro l’estate 2012 ha stimolato gli alleati a fare chiarezza su questa prospettiva. Entro settembre, infatti, diecimila marines rientreranno negli States. Così anche l’Europa si prepara ad abbandonare il Paese, restituendo «gradualmente» l’Afghanistan al suo legittimo amministratore: Hamid Karzai. Il presidente afghano ha definito il ritiro progressivo delle truppe una buona misura, per gli Stati Uniti come per l'Afghanistan. «La sosteniamo». Ma se la Francia parla di un calendario di rientro «comparabile» a quello dell’America, e la Gran Bretagna è convinta che sarà possibile mantenere la pressione sulle forze antigovernative nonostante il ritiro dal Paese, ci sono parecchi dubbi tra le alte sfere militari statunitensi. Il capo di stato maggiore delle Forze armate americane, Mike Mullen, considera infatti «aggressiva» la scelta di Obama. Pur ribadendo di appoggiare la decisione, ieri ha spiegato che un ritiro così repentino comporta «più rischi di quanto fossi inizialmente pronto ad accettare». Anche l’Italia dice che seguirà l’esempio degli Stati Uniti. Ma sono molti gli esperti che considerano il discorso del presidente americano troppo ottimistico.
Il ritiro di 10mila soldati entro la fine dell’anno va oltre i piani di David Petraeus, comandante delle truppe Usa in Afghanistan; favorevole all’exit strategy, senza far sembrare l’operazione un abbandono o una ritirata. La reazione dei vertici militari è stata insomma tutt’altro che entusiasta. Mullen si appresta a spiegare le sue ragioni al Congresso. Il commento a caldo è stato ammorbidito via Twitter, con un messaggio che parla di «approccio responsabile che dà tempo e flessibilità». Ma, tradotto, «la strategia non cambia». Il segretario alla Difesa Robert Gates sembra su questa stessa lunghezza d’onda. Il vero problema del ritiro potrebbe esserci tra qualche mese, quando torneranno a casa gli altri 23mila soldati per una riduzione di forze che potrebbe compromettere i risultati ottenuti finora contro i talebani. I grandi giornali americani considerano infatti la decisione di Obama non priva di conseguenze. New York Times e Washington Post parlano di decisione affrettata. Resta poi l’incognita del prossimo inverno dove, dicono gli esperti, l’efficacia dell’intervento contro i talebani viene quasi sempre dimezzata dalle condizioni meteo.
Il ritiro graduale resta comunque un passo comune a tutte le nazioni impegnate sul campo, anche se nessun paese si era espresso con numeri e scadenze tanto precise. L’obiettivo, secondo il ministro Franco Frattini, è quello di «un disimpegno che non diminuisca il livello di sicurezza nel paese», ha spiegato ieri il titolare della Farnesina, consapevole del contributo italiano all’addestramento dei militari afghani che potrebbe proseguire anche dopo il 2014. Anche Nicolas Sarkozy, dopo un freddo comunicato dell’Eliseo, ha confermato che la Francia «rimarrà pienamente impegnata con i suoi alleati per completare il processo di transizione».
Il presidente americano ha preso una decisione che certamente influenzerà la pratica afghana, ma sostanzialmente non porterà a un abbandono, come invece ha lasciato intendere Obama. Il discorso sull’Afghanistan è stato pronunciato dopo aver letto i sondaggi, non solo i rapporti provenienti dai teatri di guerra. Anche per questo i repubblicani accusano Obama di un annuncio a fini elettorali. Ma l’Europa lo ha seguito. Ma la verità sul numero effettivo di marines che resteranno nel paese dopo il 2014 la sapremo soltanto l’anno prossimo, dopo il vertice Nato previsto a Chicago.

Secondo un portavoce dei talebani, infatti, «gli americani non hanno alcuna intenzione di lasciare l'Afghanistan», perché gli Usa annunciano una riduzione del numero delle truppe, ma cercano di realizzare investimenti a lungo termine e di ottenere la costituzione di basi militari.

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