
Cosa si può chiedere a un teatro con oltre 50 anni di storia, che, nel 1985, con "Comedians" diede vita a una nuova generazine d'attori? Si può chiedere soltanto di continuare a produrre un teatro "altamente" popolare e, nello stesso tempo, di realizzare il sogno di un ensemble di attori ai quali offrire lavoro con una certa stabilità, tanto che, molto recentemente, per dare concretezza a questa idea, De Capitani ha scelto spettacoli con molti attori: da "Re Lear" a "Moby Dick". La sua ultima scelta è caduta su "Erano tutti miei figli" di Arthur Miller, in scena dal 21 ottobre al 16 novembre, forse per bissare il successo di "Morte di un commesso viaggiatore" che ritenni uno degli spettacoli più perfetti della storia di questo teatro. C'è da dire che, da qualche anno, sui palcoscenici italiani, è tornato di moda il teatro americano a cominciare dal suo fondatore, Eugene O'Neill di cui lo scorso anno abbiamo visto una edizione eccezionale di "Lungo viaggio verso la notte" con Gabriele Lavia, anche regista, e Federica Di Martino, mentre a Genova è appena andato in scena "Il lutto si addice ad Elettra", con la regia di Livermore. Arthur Miller discende da O'Neill, oltre che da Ibsen e ha trasformato la tragedia americana in dramma, come lo intendeva Gyorgy Lukacs. "Erano tutti miei figli" ebbe la sua prima edizione italiana l'anno in cui fu scritta, 1947, con la regia di Squarzina, successivamente, per ben due volte, si è cimentato Umberto Orsini, Elio De Capitani ha immaginato una sua versione, come un proseguo di "Morte di un commesso viaggiatore", collocando l'azione in una bellissima scena di Carlo Sala, che alterna il dentro e il fuori, con un atrio bene addobbato con sedie, poltrone, tavolini, divani, che si apre verso il giardino dove si intravedono due alti pioppi. In questo spazio, si consuma il dramma di Joe Keller, un industriale che, però, mantiene l'impronta dell'operaio e del capo officina, quale era stato, prima di raggiungere il sogno americano a cui ambivano coloro che provenivano da uno status inferiore, proprio come Willy Loman, di "Morte di un commesso viaggiatore" che, col suo suicidio, decretò la morte di quel sogno, quello della crisi delle classi medie, che De Capitani decise di mettere in scena durante il periodo di crisi che aveva colpito la classe media italiana.
L'azione di "Erano tutti miei figli" affronta il dramma di un padre che, per accrescere i profitti, ha venduto, con un socio, dei ricambi difettosi per aerei che avevano causato la morte di 21 piloti, tra i quali il proprio figlio maggiore: Miller indaga il lato oscuro del successo economico che, pur di far quattrini, si adatta alle illegalità e alla corruzione. Al centro dell'azione, prende vigore il rapporto tra genitori e figli, tra vecchia e nuova generazione, tra modi diversi per accedere alla scalata sociale.
De Capitani evidenzia molto bene la ricchezza che Joe era riuscito ad accumulare con i suoi traffici illeciti, benché fosse stata costruita col sangue di tanti giovani innocenti, ma che, per lui, si trasformerà in un incubo, soprattutto per il tragico segreto che cerca di nascondere a una madre sofferente, interpretata da Cristina Crippa, a cui era stato detto che il figlio lo si riteneva disperso, un segreto a cui si ribellerà il secondogenito che vuol
costringere il padre a confessare tutta la verità. Quando Joe prenderà consapevolezza di essere stato la causa volontaria della morte di coloro che potevano essere tutti suoi figli, deciderà di compiere il gesto estremo.