da Torino
Possedere un oggetto «cult» è un «must» per essere «in»: è un imperativo al quale, per fortuna, è lecito disubbidire. Mutuata dalla musica e dalla cinematografia, poi passata attraverso pelletteria e orologi, la parola cult è sempre più usata in campo automobilistico. E spesso a sproposito, come nel caso della nuova Mini, giunta da pochi mesi alla seconda generazione, che può ora contare anche sulle versioni One, benzina da 95 cv, e Cooper D, turbodiesel da 110 cv. Di cult, o addirittura di mito, si può sicuramente parlare se ci si riferisce alla prima Mini, la straordinaria city-car creata da sir Alec Issigonis quasi mezzo secolo fa, ma sarebbe riduttivo farlo per la Mini by Bmw.
Non può infatti essere trattata come un semplice oggetto di culto unautomobile che in sei anni di vita (e partendo da un marchio commercialmente morto) è stata prodotta in oltre 950mila esemplari (più di 100mila quelli circolanti in Italia) e si avvia a una produzione annua, nello stabilimento di Oxford, dove si lavora sette giorni la settimana su tre turni, di 240mila unità. Sono numeri che ci fanno capire che non siamo di fronte a un fenomeno di moda, ma al risultato eclatante di unoperazione industriale che gli uomini del Bmw Group non avrebbero potuto gestire meglio. Anche le due ultime nate lo confermano, combinando il classico comportamento dinamico che deve accompagnare ogni Mini con una sensibile riduzione dei consumi, nel solco della nuova filosofia EfficientDynamics destinata a influenzare tutte le future vetture di Monaco.
Non devono storcere il naso i puristi leggendo il marchio Cooper sposato a una motorizzazione diesel, perché il propulsore 1.6, Psa Peugeot Citroën (meticolosamente adattato dai tecnici di Bmw), con i suoi 110 cv di potenza massima (e un consumo medio di appena 4,4 litri di gasolio per 100 km) è estremamente silenzioso e brillante, al punto da far accettare tranquillamente il frequente ricorso alla leva del cambio manuale a sei rapporti. Ottima la guidabilità, grazie alla corretta rigidità del telaio, quella «stiffness» che è stata per lungo tempo la parola dordine dei progettisti tedeschi della Nuova Mini, quella che fa la differenza rispetto alla Mini di Issigonis (non facile da guidare in certe condizioni) e ha permesso alla vettura di sfondare anche sul mercato statunitense. Lunga 3,70 metri, larga 1,68, con un passo di 2,46 e una carreggiata di 1,46, la Cooper D si distingue esternamente per il particolare disegno della griglia trapezoidale, il cofano più bombato e le prese daria maggiorate richieste dal nuovo turbodiesel a geometria variabile.
I prezzi della Cooper D partono da 20.950 euro per la versione standard (filtro antiparticolato di serie) alla quale possono essere aggiunti pacchetti più «piccanti», Salt, Pepper e Chili, per toccare un massimo di 23.550 euro. Da 17.550 euro il listino della nuova One da 95 cv.
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