Minimpianti per salvare l’anca

«Metodiche mininvasive consentono di preservare l’osso femorale», afferma il dottor Carmine Cucciniello

Minimpianti per salvare l’anca
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Felicita Donalisio

Le moderne protesi d'anca sono mininvasive e garantiscono il massimo risparmio del patrimonio osseo del paziente. È quanto emerge dal IV Convegno internazionale Attualità e prospettive delle protesi di anca e ginocchio, svoltosi recentemente a Roma. Spiega il dottor Carmine Cucciniello, direttore della Struttura complessa di ortopedia correttiva dell'Istituto ortopedico Gaetano Pini di Milano(www.g-pini.it): «Anche questo importante meeting conferma che, per essere veramente mininvasivo, un impianto protesico d'anca deve coniugare un taglio relativamente piccolo (8-12 cm) con il minimo sacrificio di osso del femore. In questa filosofia ci riconosciamo pienamente, come testimonia il lavoro dedicato allo sviluppo della protesi TLS a stelo corto, progettata e realizzata con lo specifico obiettivo di occupare meno volume possibile all'interno del femore e di limitare allo stretto necessario il sacrificio di osso nella fase d’impianto». Quali sono i benefici di questo ridotto ingombro della protesi? «I vantaggi che offre sono numerosi - aggiunge lo specialista - a cominciare dalla riduzione della traumaticità. Molto importante poi è la possibilità di trattare efficacemente pazienti difficili, ai quali raramente si possono impiantare protesi tradizionali. Di questa particolare categoria fanno parte le persone affette da coxartrosi displasica (patologia favorita da una deformità congenita che colpisce le parti componenti dell'articolazione); i pazienti artrosici che precedentemente hanno subito interventi chirurgici sul femore e sul bacino; le persone colpite da necrosi della testa femorale e infine coloro che subiscono fratture sottocapitate (posizionate nella parte estrema del collo femorale, appena sotto la testa del femore). Insomma, tutte quelle situazioni che richiedono un ancoraggio della protesi in spazi ridotti e il ripristino di una geometria anatomica funzionale». Quali sono le caratteristiche che permettono a questa protesi di essere impiegata in situazioni così difficili? Continua il dottor Cucciniello: «Innanzitutto il fatto di avere uno stelo (la parte della protesi che viene inserita nel femore) più corto del 40% rispetto agli impianti tradizionali. Importante è anche la forma conica della sezione, accentuata nella parte prossimale (più vicina all'articolazione): questa caratteristica impedisce all'impianto di affondare nell'osso, ne facilita l'osteointegrazione garantendone la stabilità nel tempo.
La protesi è in titanio (materiale altamente biocompatibile), senza cemento (e quindi con minori rischi di rigetto). In virtù del suo particolare design consente di conservare parte del collo femorale ( 2 cm), senza che tutto ciò vada a scapito della sua stabilità iniziale».

La protesi a stelo corto non viene usata solo nei casi difficili proprio in virtù della sua scarsa invasività è molto indicata anche nei pazienti con patologie comuni come la coxartrosi primitiva o post-traumatica, di tutte le fasce d’età, dal giovane adulto al grande anziano».

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