«Il mio Dalla Chiesa, potente ma solo»

Il regista Giorgio Capitani racconta il protagonista Presenti all’anteprima il sindaco Diego Cammarata e il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri

«Il mio Dalla Chiesa, potente ma solo»

da Palermo

Era un appuntamento inevitabile. Anzi dovuto. L’anteprima ufficiale di Il generale Dalla Chiesa - fiction in due puntate in onda su Canale 5 il 10 e 11 settembre - è stata infatti data ieri a Palermo. Un evento solenne: presenti, oltre ad alte cariche dell’Arma dei carabinieri e a buona parte del cast, il sindaco della città Diego Cammarata e il presidente di Mediaset Confalonieri, che ha commentato: «Era una fiction che andava assolutamente fatta, un tributo a un grande uomo». Ma a toccare profondamente era la suggestione dei fatti rievocati, solo pochi giorni dopo il 25° anniversario dell’assassinio del generale.
«Perché abbiamo fatto questa fiction? Per raccontare la storia di un uomo - ha sintetizzato il regista, Giorgio Capitani - che per alcuni mesi è stato l’uomo più potente d’Italia. Ma anche il più solo. Questo quindi non è un film politico, né di denuncia. Non a caso evita di fare i nomi di molti personaggi, terroristi o uomini politici, che pure rimangono chiaramente riconoscibili. Questo è soprattutto il racconto di un’esperienza umana». Nel rievocare dunque tutta la vicenda di Dalla Chiesa, interpretato da Giancarlo Giannini - dai successi conseguiti alla guida del Nucleo antiterrorismo contro le Brigate rosse, all’isolamento sofferto da prefetto di Palermo nella lotta alla mafia -, la fiction mette volutamente in contrasto i momenti pubblici del protagonista, costruiti come un’action dal ritmo incalzante e drammatico, e quelli di una vita familiare solida e rassicurante, in cui la paziente devozione della moglie Dora (Stefania Sandrelli) fa da contrappeso ai drammi interiori del protagonista. Il pubblico ha apprezzato la disinvoltura con cui Capitani si smarca dal rischio più evidente: la presenza dei figli Rita e Nando che, godendo nella realtà di totale riconoscibilità, potevano apparire nella finzione fasulli. «E invece la sceneggiatura si è basata anche sui racconti degli stessi Rita e Nando - spiega il regista - e alle dinamiche familiari abbiamo prestato una attenzione specialissima». «Ho conosciuto e parlato con la vera Rita Dalla Chiesa - racconta la sua interprete, Milena Mancini -. Quel che più ho cercato di trasferire nel personaggio è stata la consapevolezza di aver arrecato un dolore al padre con la separazione da suo marito, e il desiderio di riversare su di lui, per questo, ancora più amore». «Io non ho conosciuto il mio alter ego reale - confida l’interprete di Nando Dalla Chiesa, Marco Vivio -, ma credo di aver delineato qualcosa di molto vicino al vero nella storia di un uomo che, partendo da idee politiche molto distanti da quelle del padre, cerca con lui comunque un punto di incontro e una solidità di affetti». Ma l’incarico più ingrato spettava forse a Francesca Cavallin: alla sua sensibilità il compito di rendere la difficile psicologia sentimentale di Emanuela Setti Carraro, che a 32 anni appena s’innamora profondamente di un uomo di 64. «Quello che ho capito di lei, dopo la lettura dei suoi diari, è l’immagine di una ragazza d’altri tempi, educata a valori solidi ma generalmente ignorati a quell’età, come l’amor di patria o il senso dell’onore. Di certo è stata una donna coraggiosa, pronta a darsi completamente e fino alla fine al proprio amore».

Particolare significativo: l’ultima frase vergata da Emanuela, appena due giorni prima della morte, e che non si è potuta inserire nella sceneggiatura perché scoperta solo a lavoro ultimato. «Caro Carlo Alberto: ero una ragazzina e grazie a te sono diventata una donna, ti amerò per sempre».

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