«Il mio sant’Antonio, un mix di Gandhi, Wojtyla e il Che»

Il regista Antonello Belluco, proveniente dalla pubblicità, spiega: «Ho voluto raccontare un uomo in carne e ossa, veemente difensore di deboli e umili»

Michele Anselmi

da Roma

Bisogna credere ad Antonello Belluco, faccia scavata e chioma alla Rolling Stones, 48 anni, 23 dei quali passati nel mondo della pubblicità, quando sussurra che il suo film su Sant’Antonio da Padova è un «atto di fede e devozione». Film per il cinema, uno dei pochi: se è vero infatti che due anni fa Mediaset produsse un tv movie sul francescano interpretato da Daniele Liotti, salvo errori è dal 1948, quando l’ancora smilzo Aldo Fabrizi s’avvolse nel lacero saio, che il grande schermo non si misurava con la figura del santo. «Ho voluto raccontare un uomo in carne e ossa, non un santo ancora prima di morire», spiega il regista, che vede Antonio come un mix di Che Guevara, Gandhi e papa Wojtyla, «uno che camminava veloce perché aveva tante cose da fare», e ancora: «Un raffinato dottore della Chiesa, un genio del suo tempo, un grande erudito e un magnifico predicatore», soprattutto «un veemente difensore dei deboli, degli umili, degli oppressi». Non ci sarà il rischio di farne un cine-santino? Belluco, il quale firma solo formalmente il film con Sandro Cecca (un modo per poter accedere al fondo ministeriale di tre milioni di euro), giura di no. «Questo Antonio del Duecento parla all’uomo di oggi. Se allora la società era intossicata dall’usura, oggi esistono altre forme di corruzione e illegalità: ma resta valido, modernissimo, il messaggio di questo frate intellettuale capace di sfidare l’arroganza dei potenti, con spirito indomito da defensor civitatis».
Prodotto da Angelo Bassi, girato tra Tuscania, Padova, Terracina, Sabaudia e Cinecittà, Antonio, guerriero di Dio è arrivato alla nona e ultima settimana di lavorazione. L’idea è di farlo uscire a febbraio 2006, e non dovrebbe essere difficile venderlo all'estero, considerata l’universale popolarità del santo di origine lusitana. Un solo dato: la basilica di Padova che prende il suo nome viene visitata ogni anni da oltre quattro milioni di fedeli. Ma ovviamente il film non si rivolge solo ai credenti o ai lettori del Messaggero di Sant’Antonio. Spiega Belluco: «Il progetto non nasce con spirito confessionale, ogni spettatore potrà ritagliarsi il suo film. Dentro ci sono tanti ingredienti: religione, azione, politica, mistero. Mancano solo i miracoli, perché Antonio non ne compì in vita».
In compenso, una certa aura di «santità» sembra aver circonfuso il set. «Non so come chiamarli: segnali, coincidenze?», avverte il regista. Si riferisce a quel gigantesco arcobaleno che, all’improvviso, incorniciò l’arco sotto il quale passava la bara del santo; o a quelle migliaia di sardine che si misero a saltare fuori dall’acqua a Sabaudia durante un ciak; o ai due corvi ricevuti in regalo un attimo prima di sapere che sulla bandiera portoghese figura proprio la nave di Sant'Antonio guidata da una coppia di quegli uccelli.
Barba lunga di scena, jeans e cellulare in mano, il santo degli umili temuto dai ricchi e sopportato dai vescovi sullo schermo avrà la faccia dolente e fiera di Jordi Mollá, attore spagnolo che forse qualcuno ricorderà spacciatore di droga accanto a Johnny Depp in Blow. Il passo è notevole, ma lui non si scompone: «Ho accettato subito. Era una bella scommessa, una sfida da raccogliere». Per settimane ha divorato libri sull’argomento, imparando a convivere con la figura di quel nobile che seguì le orme di Francesco, fino a raccoglierne l’eredità. Un procedimento di mimesi all’americana: tanto da accettare di recitare in presa diretta, spruzzando il suo italiano di inflessioni portoghesi per restituire l’oratoria del santo. Ma più coinvolto di lui sembra l’italiano Paolo De Vita, che fa Folco, l’ex ladro redento, l’uomo che accompagnerà Antonio nei suoi pellegrinaggi.

Sorride: «Il miracolo c’è. Io che divento co-protagonista dopo centinaia di particine in film e fiction».
Per la cronaca: Antonio morì il 13 giugno 1231, all’età di 36 anni (il carbonio 14 dice 39 e mezzo). Undici mesi dopo fu canonizzato.

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