Desaparecidos, scomparsi, spariti dalla scena politica nazionale, dopo una più o meno breve parentesi nel ruolo di «signor ministro»: perché sono tornati per scelta alla propria professione; oppure perché hanno deciso di continuare a fare politica a livello locale o nelle associazioni; o, semplicemente, perché gli elettori non hanno più dato loro fiducia, ricacciandoli nell'oblio.
Sono una trentina i ministri che come una meteora hanno attraversato la storia recente d'Italia. Specie nel passaggio dalla prima alla seconda Repubblica, nel pieno della bufera post Tangentopoli, l'ansia di rinnovamento catapultò alla ribalta del panorama politico personalità di spicco cooptate come tecnici ma pure illustri sconosciuti, miracolati dal momento storico. Che fine hanno fatto? Dove sono? Hanno chiuso con la politica o il richiamo del Palazzo potrebbe tentarli ancora?
Noi abbiamo cercato di stanarne alcuni. A cominciare dal recordman, il professor Augusto Barbera, ministro una sola volta per circa 12 ore - il mandato in effetti sulla carta durò cinque giorni - nel governo Ciampi (28 aprile 1993-10 maggio 1994). «Fu una giornata agitata - ricorda oggi il costituzionalista, professore ordinario all'università di Bologna - era la prima volta che tre esponenti del Pds - io, Visco e Berlinguer - venivamo nominati ministri. Io avrei dovuto avere le Riforme elettorali e istituzionali. Invece furono date al dc Elia, a me fu affidata la delega per i Rapporti con il Parlamento. Io dissi subito che non avrei giurato, fu un putiferio. La situazione era così incerta che fu bloccata la diretta tv del giuramento. Poi ci fu un incontro, partecipammo io, Ciampi, Scalfaro, Elia e Maccanico. Io insistevo, non volevo accettare. Fu Maccanico a trovare il compromesso: a me i Rapporti col Parlamento di concerto con il ministro Elia per le Riforme istituzionali. E così giurai. Erano le 17 del 29 aprile del '93. Ma quel giorno accadeva un altro evento epocale: il "no" all'autorizzazione a procedere nei confronti di Bettino Craxi. A quel punto Occhetto riunì la segreteria e fece una cosa priva di senso: decise che noi del Pds dovevamo uscire dal governo. E così in serata mi dimisi, e finì la mia esperienza di ministro». Pentito di avere accettato? «Ma no, rifiutare sarebbe stato peggio. Rimasi in Parlamento sino al '94, poi tornai all'attività universitaria e non mi ricandidai. Quando Berlusconi diventò presidente del Consiglio fui contattato da Speroni e Tatarella che mi proposero di presiedere la commissione per le Riforme costituzionali. Ma non accettai».
Sono tanti, proprio del Berlusconi 1 (10 maggio 1994-17 gennaio 1995) i ministri «scomparsi» dopo soli otto mesi di mandato: da Domenico Comino (Politiche Ue) che ha ripreso l'insegnamento a Giorgio Bernini (Commercio con l'estero), giurista tornato alla professione di avvocato dopo quella parentesi politica, e Sergio Berlinguer (Italiani nel mondo), diplomatico.
«La mia esperienza di ministro - ricorda il professor Stefano Podestà, delega all'Università nel primo Berlusconi, poi transitato nel Ppi e nel Pds, quindi, lasciato in polemica pure il partito della Quercia, via dalla politica per tornare a fare il professore alla Bocconi di Milano - nacque in modo del tutto casuale. Conoscevo Giuliano Urbani, che mi propose di entrare in lista. Poi, visto che l'università era il mio mondo, mi fu proposto il ministero. Accettai con entusiasmo, e fu un'esperienza super- positiva. Ho solo il rammarico di non essere riuscito ad andare fino in fondo, quel governo non aveva una maggioranza solida come adesso».
C'è poi chi ha lasciato per sempre Roma ma continua a battagliare negli enti locali. Come il "vecchio Paglia", al secolo Giancarlo Pagliarini, ministro del Bilancio per la Lega nel Berlusconi 1, ora consigliere del Gruppo misto al comune di Milano. «Appresi che stavo per diventare ministro - racconta - da mia figlia, che lo sentì in tv. Poi mi chiamò pure Berlusconi. Accettai con entusiasmo, mi divertii un mondo. Lavoravo come un matto, davo gli appuntamenti a partire dalle 7 del mattino, uno ogni 15 minuti. Restavo al ministero fino a tardi, la mia cena era, alle 23, patatine con ketchup. Ricordo che col mio sistema di impegni a incastro non riuscimmo mai a incontrarci con l'allora presidente della Regione Campania (Giovanni Grasso, Dc, ndr): lui arrivava sempre in ritardo, ma io ero già impegnato con altri. Ci provammo sette volte. Invano». Rimpianti? «Nessuno. Riuscii a ottenere risultati importanti, come quello sulle quote latte. Ma non tornerei a Roma a fare il ministro neanche morto».
Sono proprio il Berlusconi I e il successivo governo guidato da Lamberto Dini (17 gennaio 1995-17 maggio 1996) quelli che fanno registrare il maggior numero di desaparecidos dalla politica: da Walter Luchetti, ministro dell'Agricoltura con Dini, al giurista Agostino Gambino (Poste), tornato a insegnare all'Università europea di Roma.
Andando avanti, già a partire dal primo governo Prodi (17 maggio 1996-21 ottobre 1998), il numero di ministri «nuovi» diminuisce. Tra i desaparecidos «eccellenti» l'ex presidente del Senato e ex ministro della Difesa nel governo D'Alema 1 (21 ottobre 1998-22 dicembre 1999) Carlo Scognamiglio, ora docente di Economia industriale presso la Luiss di Roma; il banchiere Nerio Nesi, ai Lavori pubblici nel secondo governo Amato; e il diplomatico Renato Ruggiero, ministro degli Esteri per soli sette mesi durante il Berlusconi 2.
E ancora, Gian Guido Folloni, giornalista e ministro per i Rapporti con il Parlamento nel D'Alema 1, dc e popolare "doc" passato adesso alla Rosa per l'Italia dopo la mancata rielezione alle politiche del 2006; Angelo Piazza, ministro della Funzione pubblica nel D'Alema 1, tornato a insegnare a Bologna; o Michele Pinto, ministro delle Politiche agricole del Prodi 1. Gli esecutivi più recenti non hanno, in pratica, regalato sorprese. Finita l'era dei tecnici, il governo è tornato ai professionisti della politica.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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