Il miracolo di credere ai miracoli

Nei secoli passati, in Francia era opinione diffusa che toccare il Re guarisse dalla scrofola (adenite tubercolare). Di recente, secondo ignote fonti magari indi amplificate con la dovuta piaggeria da una stampa adulatrice e servile (ivi inclusa, oltre alla solita Unità, una nota firma del nostro Giornale), Bergoglio, con un semplice bacio in fronte, avrebbe miracolosamente migliorato le condizioni di una bambina affetta da tumore. Cattolico osservante, credo a mia volta fermissimamente nei miracoli, purché avallati dalle preposte Autorità ecclesiastiche con la encomiabile prudenza a cui la Chiesa, almeno fino a ieri, ci aveva abituati. Tutto il resto sa di mistificazione a beneficio dei più creduloni: pertanto, se proprio vogliamo parlare di miracolo, non le sembra che per un ovvio principio di equità si debba necessariamente estenderlo anche agli antichi Re di Francia?Alberto Giovanardie-mail Da cattolico osservante certo sa, caro Giovanardi, che per la Chiesa si deve credere ai miracoli fatti da Gesù. Per tutti gli altri, compresi quelli che hanno passato il vaglio della apposita Congregazione, c'è per così dire libertà di coscienza. Se dunque il credere nei miracoli riportati dai Vangeli è articolo di fede, per i restanti è conforto, è consolazione, fiducia che per volontà divina l'impossibile possa diventare possibile: quel che si chiama professione di fede. Sicché trovo un po' riduttivo interpretare questa confidenza nel divino come atteggiamento da credulone o manifestazione di piaggeria nei confronti di Bergoglio. Quanto al tocco dei Capetingi che guariva dal mal du Roi, era creduto dato da Dio (il miracolo è sempre ed esclusivamente opera di Dio) attraverso il sacramento dell'unzione con l'olio consacrato, il crisma.

Nessuno scrofoloso dubitava del potere taumaturgico del tocco. Credervi era, appunto, abbandonarsi con fiducia nelle mani di Dio sperando nel suo intervento per liberarsi dal male. Una professione di fede, allora come oggi.

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