Missione a Kabul, sì bipartisan alla Camera

La Camera ha approvato il decreto legge di finanziamento delle missioni italiane all'estero per tutto il 2007. I voti favorevoli sono stati 524, 3 contrari, 19 astenuti. Il decreto legge che finanzia le missioni in Libano, Afghanistan, Balcani, Hebron, Rafah, Cipro, Darfur, Congo decade il primo aprile. Il Senato dovrà approvarlo entro la fine di marzo. D'Alema, rispondendo a Blair che ci aveva invitato a inviare nuove truppe, fa sapere che il governo non ha in programma novità

Missione a Kabul, sì bipartisan alla Camera

Roma - Il governo ha superato il primo ostacolo. Il decreto legge che proroga la partecipazione italiana alle missioni militari all'estero, tra cui quella in Afghanistan, è stato approvato dalla Camera (524 sì, 3 no e 19 astenuti). Il provvedimento ora passa all'esame del Senato, a partire dal 27 marzo. Com'è noto a palazzo Madama i numeri per la maggioranza sono molto più risicati. Ma allo stato attuale non è da escludere il voto a favore da parte di alcune forze dell'opposizione. A Montecitorio la maggioranza è stata ampia come previsto, ma non tutto è filato liscio. Non a caso il viceministro degli Esteri, Ugo Intini, si è lamentato: "Un provvedimento così importante doveva essere pronto in un paio d'ore". Invece ci sono volute due giornate di lavoro in aula. A mettere i bastoni tra le ruote alla maggioranza tre dissidenti, tutti di Rifondazione comunista: Salvatore Cannavò, Paolo Cacciari e Francesco Caruso. Astenuti i deputati della Lega, che avevano presentato due ordini del giorno- rigettati dall'esecutivo - per chiedere più armi e mezzi per le truppe italiane in Afghanistan e il disarmo di Hezbollah in Libano.

D'Alema: nessun nuovo impegno oltre al decreto Il ministro degli Esteri Massimo D'Alema ha affermato che il governo italiano non ha "in previsione nuovi provvedimenti" riguardo l'impegno delle truppe italiane in Afghanistan. Rispondendo a una domanda sull'appello del premier britannico Tony Blair affinché gli alleati "facciano di più", il titolare della Farnesina ha osservato che "c'è un decreto in parlamento che ha deciso quello che l'Italia deve fare, quella è la decisione del governo". "Quello che farà l'Italia è stabilito nel decreto e il governo non ha in programma nuovi provvedimenti", ha insistito D'Alema.

Molto vivace il dibattito a Montecitorio per il rifinanziamento delle missioni estere dell'Italia. L'approvazione del decreto alla Camera era scontata ma le polemiche tra maggioranza e opposizione non sono mancate.

Martino: anteponiamo l'interesse del Paese al nostro "Votiamo a favore, in coerenza con la nostra posizione - dichiara l'ex ministro della Difesa Antonio Martino -. Anteponiamo l'interesse dell'Italia a quello del nostro partito. Ma sia ben chiaro che non approviamo la linea del governo, che in questi mesi ha sperperato un patrimonio di credibilità accumulato negli ultimi 60 anni, in cui i pilastri della politica internazionale erano rimasti ben saldi. Non era mai accaduto che gli ambasciatori di sei Paesi dovessero scrivere una lettera per richiamare l'Italia ai nostri impegni. Il ministro degli Esteri ha definito irrituale questa iniziativa. Ma se c'è una cosa irrituale è il fatto che il governo non ha una politica estera. Dovrebbe essere chiaro a tutti che la posta in gioco è altissima. La vittoria dei Talebani sarebbe una catastrofe per l'intera comunità internazionale. Dato che il pericolo è globale, la risposta deve essere globale. Ogni Paese deve fare il proprio sforzo" Proprio per questo Martino ha sottolineato la necessità di "far cadere, come ci chiede la Nato, il 'caveat' che impedisce ai nostri militari di combattere in Afghanistan". L'ex ministro della Difesa ha infine ammonito il centrosinistra: "Se questo decreto al Senato passasse solo grazie ai voti dell'opposizione, allora sarebbe chiaro a tutti che questa maggioranza non ha più tit9oo per esprimere il governo dell'Italia e deve togliere il disturbo".

La Russa: se al Senato non c'è maggioranza governo a casa Se al Senato il governo non avrà i voti della maggioranza dei senatori eletti dovrà dimettersi. Lo ha ribadito il capogruppo di An alla Camera, Ignazio La Russa. "Il "sì della maggioranza è incerto e stiracchiato. Noi votiamo sì al decreto in assoluta continuità con l'azione del precedente governo. Ci sembra giusto e doveroso dare pieno sostegno ai nostri soldati che fanno ogni giorno qualcosa per la pace. Poi c'è un problema politico sottolineato dal presidente della Repubblica: se il governo Prodi non ha una maggioranza politica, non è autosufficiente al Senato, deve andare a casa".

Udc: un sì convinto e senza riserve Il presidente dei deputati dell'Udc Luca Volontè nel confermare il voto a favore del suo partito ha attaccato duramente le posizioni di coloro che all'interno della maggioranza hanno dichiarato di approvare il decreto esprimendo critiche e riserve ed ha criticato "la moda di un pacifismo ambulante o piazzista",a suo giudizio "un pacifismo di maniera che teorizza il disimpegno assoluto dell'Italia dallo scenario internazionale". Per Volontè il governo e la maggioranza devono "dimostrare la propria autosufficienza alla Camera e al Senato, senza nascondersi dietro la teoria delle maggioranze variabili".

La Lega si astiene: più armi per ridurre i rischi delle truppe La Lega ha annunciato in aula alla Camera la propria astensione: "Siamo al periodo più difficile - ha detto durante le dichiarazioni di voto Federico Bricolo -. Anche i nostri soldati si dovranno confrontare con i guerriglieri talebani che useranno più le tecniche dei terroristi che quelle militari. I rischi saranno elevatissimi e la nostra presenza dovrà essere adeguata con più mezzi, più uomini, con le coperture aeree che i nostri soldati non hanno, con nuove regole di ingaggio per garantire più sicurezza. Il governo però ci ha detto di no, rifiutando di accettare i nostri emendamenti. Per questo, così come annunciato -ha aggiunto Bricolo- la Lega si asterrà".

Cannavò: voto no perché l'Italia è in guerra No al decreto di rifinanziamento delle missioni internazionali dell'Italia. Salvatore Cannavò, esponente di Rifondazione Comunista e dissidente rispetto alla linea del partito, conferma la sua contrarietà al provvedimento. Intervenendo alla Camera durante le dichiarazioni di voto Cannavò ha criticato il ruolo della Nato e ha sottolineato che partecipando alla missione Isaf "l'Italia è in guerra". Cannavò ha parlato di "recrudescenza delle operazioni militari in Afghanistan che non può non coinvolgere le truppe italiane e la politica italiana". E il problema è "o partecipare alla guerra o ritirarsi, perché non è credibile una terza posizione per cui i soldati italiani stanno tranquillamente a Kabul o a Herat mentre altrove si combatte".

Sereni (Ulivo): situazione grave ma restiamo "Restiamo in Afghanistan pur non nascondendoci la situazione grave, anzi tragica, di una violenza che continua a colpire tante, troppe vittime civili". Lo afferma Marina Sereni, vicepresidente dei deputati Ds. "Abbiamo confermato il ruolo e le specifiche funzioni che in Afghanistan sono assegnate alle nostre forze - ha sottolineato Sereni - ritenendo non proponibile una modifica sostanziale, in quantità e qualità, della nostra presenza, nell' ambito della missione Nato. Riteniamo molto importante - ha aggiunto - la volontà che il ministro degli Esteri ha annunciato di proporre anche in sede Onu la realizzazione di una nuova conferenza di pace. Il fatto che il nostro Paese sarà relatore in sede di Consiglio di Sicurezza sul rinnovo della missione civile e umanitaria Unama a Kabul, in discussione alla fine del mese di marzo, ci consegna una particolare responsabilità ma anche un'opportunità".

Turigliatto e Rossi preannunciano il no al Senato Problemi in vista per la maggioranza a palazzo Madama. L'ex senatore del Pdci, Fernando Rossi, preannuncia o il voto contrario o la non partecipazione alla votazione. Se dovesse decidere di non votare si abbasserebbe il quorum e, quindi, gli effetti negativi sarebbero limitati per la maggioranza. "Ci sono tutte le condizioni per votare contro - ha chiarito Rossi -. Ma se ricomincia la danza e va in scena un'altra commedia come l'altra volta, "se non ci sono i voti (i 158 dell'Unione, ndr) c'è la crisi e siamo tutti rovinati", allora esco dall'Aula".

Molto deciso il no dell'altro "dissidente", Franco Turigliatto: "Non ho cambiato idea, confermo che voterò no. A maggior ragione visto quello che sta accadendo" ha dichiarato il senatore che Rifondazione ha da poco allontanato per due anni dal partito.

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