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Missione «Nemo», un eroe contro i nazisti

A Francesco Gnecchi Ruscone da bimbo in casa insegnarono che «ogni privilegio è un debito»: etica cavalleresca che impone un «ritornare» ciò che si è avuto e che formò il carattere del protagonista di Missione «Nemo» -. Un'Operazione segreta della Resistenza militare italiana 1944-45 (Mursia). Cooptato da Emilio Elia, detto Nemo, (capitano di corvetta della Regia Marina, già combattente nella I Guerra mondiale, poi nella II, quindi primo questore di Milano), doveva eseguire rilievi cartografici della linea difensiva progettata dai tedeschi a nord del Po. Elia dopo l'8 settembre '43 agì per l'Intelligence britannica per trasmettere notizie militari, industriali e politiche. Obiettivo finale degli Alleati era «stabilizzare l'Italia del dopoguerra dal punto di vista sociale prima che politico». Cardine della ricostruzione i bacini idroelettrici, fornitori di energia alle industrie di pianura. «Nemo Op. Sand II» con «sand» (=sabbia) si riferisce allo sbarco di Elia (portato dagli Alleati) in un paesino delle Cinque Terre.
Le scelte di Francesco, in linea con la sua famiglia di soldati, nascono improntate ad onore ma con pragmatismo. Ritiene lo sbarco degli Alleati in Sicilia «un'invasione di truppe straniere». Per non «tradire» va, per arruolarsi volontario, al Distretto di Milano. «Guagliò non fare 'o fesso, vattene a casa», lo blocca il sergente di servizio.
Una settimana dopo cade Mussolini, per la sua famiglia risorgimentale «l'uomo della sfida sfacciata all'autorità della monarchia». A casa si leggevano giornali stranieri, il padre Gianfranco, tenente di cavalleria, era stato schedato come ostile al Regime per non aver preso la tessera del Pnf, ma ad inizio guerra riprese servizio. Su Francesco, dodicenne quando fu conquistata l'Etiopia, influiva il fascino del cugino di mamma, Paolo Caccia Dominioni, allora al comando di un battaglione di ascari eritrei. Mamma Antonia, già studentessa dalle Suore del Sacre Coeur di Parigi, pianse una volta in 90 anni: per Parigi conquistata nel '40 dai nazisti.
Pianse anche Emilia Jona Pardo (il cui figlio di recente consegnò la Medaglia dei Giusti alla famiglia Custo che li ospitò in guerra): pianse, ritenendola «fine della civiltà», con la sua insegnante di francese, Soeur Feliz delle Suore della Misericordia di Nevers. Niente più dello studio aiuta a capire un popolo e perciò lo rende caro.
Mio padre triestino, città infiammata da ideali, allora sul fronte Occidentale nel 5° Reggimento Artiglieria Pesante Campale (Divisione Po), era convinto «che i tedeschi stessero togliendo le castagne dal fuoco per l'Italia». All'armistizio del 24 giugno '40 che alla «pace europea mancasse persuadere i Balcani per via diplomatica e vincere l'Inghilterra, che la Germania avrebbe facilmente vinto». Più pragmatico Gianfranco, padre di Francesco, pensava che «in caso di vittoria la Germania avrebbe sottomesso l'Italia, in caso di sconfitta avremmo avuto miseria e vergogna».
Con lo stesso pragmatismo Francesco, ventenne studente del Politecnico, si lascia cooptare da Nemo perché, caduto Mussolini, ritiene «il problema maggiore portare l'Italia fuori dalla guerra». Parte in bici per la missione con due libri: Kim di Kipling e Introduzione all'Architettura moderna di Sartoris. Dopo un anno di attività, torturato dalle SS germaniche di Padova, non fa il nome di nessuno dei compagni. Riscattato con un pagamento in monete d'oro, commenta: «Gli eroici nibelunghi, prima del fugone finale, sono diventati un'anonima sequestri».
In corollario alla missione, è mandato a recuperare 40 casse di documenti segreti dell'Archivio di Stato, trafugate dai tedeschi, tra cui viene ritrovata la collezione numismatica di Vittorio Emanuele III. Nel suo raccontare, ciò che più piace, è il proporsi senza enfasi. Di sé e dei suoi compagni dice: «In noi un po' di Sandokan e Don Chisciotte, di Primula Rossa e Gianburrasca, dovevamo fare quello che ci pareva giusto e farne un buon lavoro».
Nella premessa Marino Viganò, diplomato in Scienze politiche alla Cattolica di Milano, dottore di ricerca in Storia militare a Padova, sottolinea: «In Inghilterra Harry Hinsley tra il 1979 e il '90 pubblicò in cinque volumi la storia dell'Intelligence, mentre la storiografia italiana ad ora non ha avuto quasi accesso alle carte del Sim (Servizio Informazioni Militare). Per raccontare «Missione Nemo» ha scelto Gnecchi Ruscone perché ne lesse l'autobiografia in inglese, del '99: Quando essere italiani era difficile. Così difficile raggiungere le carte del Sim che lo storico Gianfranco Bianchi riferisce sulla «Nemo» (Per la Storia, Vita e Pensiero, 1989) in 10 righe «autocompiaciute» (secondo Viganò) per la scoperta. Bianchi è stato giornalista per 50 anni, storico del Fascismo di cui raccolse documenti dalla caduta di Mussolini. Grande educatore di coscienze di giovani, fondò con Apollonio la Scuola della Comunicazioni Sociali, con sede prima a Bergamo poi alla Cattolica.


Nell'appendice documentaria, redatta da Viganò con Susanna Sala Massari, colpisce il fiume di denaro (finanziamenti della missione) da gruppi industriali e banche, italiani ed esteri. Nell'elenco nominativo dei quasi 200 collaboratori, anche don Paolino Beltrame Quattrocchi e Suor Giovanna.

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