Gianni Pennacchi
da Roma
A sorpresa, Silvio Berlusconi annuncia che la Casa delle libertà è pronta a dare un «sì incondizionato» al decreto che torna a finanziare la nostra missione militare in Afghanistan. Tanta decisione è stata ufficializzata ieri in tarda mattinata con la diffusione di una nota nella quale risuonano soppesati anche gli aggettivi e le virgole. Tantè che ha generato un certo scompiglio nella maggioranza, ancora impelagata nella ricerca di unintesa sul provvedimento di proroga delle missioni italiane allestero. «Siamo persone serie e coerenti», rivendica Berlusconi assicurando: «Non permetteremo certo che i nostri soldati in Afghanistan vengano abbandonati a se stessi, né che si determinino le condizioni per un altro vergognoso disimpegno come quello annunciato per lIrak». Lannuncio è risuonato come una staffilata per lUnione, in particolare per i partiti di sinistra radicale. E non è dato ancora sapere quanto ciò sia casuale, ma la nota di Berlusconi è giunta poco dopo lavvertimento di Massimo DAlema, titolare della Farnesina, a quei suoi alleati che se il decreto sulle missioni dovesse essere bocciato o anche solo «stravolto», comporterebbe «conseguenze molto gravi» per il governo.
La premessa che porta al sì della Cdl, senza se e senza ma al rifinanziamento, mira a fugare ogni sospetto di inciucio o calcolo politico: «Linteresse e il prestigio dellItalia, il consolidamento della democrazia e della pace nel mondo, sono per la Casa delle libertà valori di riferimento irrinunciabili. Vengono prima di ogni tattica politica e di ogni interesse di parte. Per questi motivi, il nostro governo aveva deciso linvio di un contingente militare in Afghanistan, nel quadro di un mandato delle Nazioni Unite: soldati italiani che, con grande coraggio, sacrificio e dedizione, stanno svolgendo una missione preziosa». Come dire: ce li abbiamo mandati noi, con entusiasmo, e dovremmo ripagarli con un tutti a casa solo perché Romano Prodi non è in grado di governare la sua maggioranza?
Insiste Berlusconi, elogiando i nostri militari, che «si sono guadagnati, ed hanno guadagnato allItalia, la stima e lammirazione della comunità internazionale, oltre alla gratitudine del popolo e del governo afghano. Per quel paese infatti, laiuto dei paesi liberi è fondamentale per far crescere la democrazia e la sicurezza in una terra che ha sofferto nei decenni scorsi vicende così tormentate e sanguinose».
La conseguenza logica non può che essere una: «Siamo persone serie e coerenti», rivendica il leader di Forza Italia, dunque «non permetteremo certo che i nostri soldati in Afghanistan vengano abbandonati a se stessi, né che si determinino le condizioni per un altro vergognoso disimpegno come quello annunciato per lIrak». Al quadro politico, Berlusconi non fa sconti: «La sinistra, che dovrebbe essere maggioranza nelle due Camere, non è in grado in realtà di assicurare un voto parlamentare che garantisca la continuità degli impegni di pace dellItalia. Come era facile prevedere, il ricatto irresponsabile della sinistra radicale rischia di prevalere. Questo dicevamo il 29 giugno scorso e ribadiamo oggi, senza dover cambiare neanche una virgola, alla luce del vergognoso balletto e dellindecoroso rimpallo di responsabilità tra le varie fazioni della cosiddette maggioranza, che hanno raggiunto e superato i livelli di allarme nelle ultime due settimane».
Inevitabile la conclusione: la Cdl «si comporterà di conseguenza con il massimo senso di responsabilità e di coerenza verso il nostro paese e verso la comunità internazionale. Non solo presenteremo, come già annunciato, una mozione unitaria, ma di fronte alla manifesta impossibilità di governare da parte della sinistra, siamo anche pronti a dare il nostro sì totale e incondizionato al rifinanziamento della missione in Afghanistan».
In serata, conversando coi giornalisti dopo aver incontrato Kofi Annan, Berlusconi ha spiegato le divergenze nella Cdl prima di questa sua nota: «È evidente che si votava sì allAfghanistan perché abbiamo sempre sostenuto le missioni allestero. Ma lerrore di Casini è laver detto che se non ce la faceva il governo, ci pensavamo noi».
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