Misteri e segreti inconfessabili di Milano

Misteri e segreti inconfessabili di Milano

Si apre come un vocabolario, «Misteri, crimini e storie insolite di Milano», il volume di Paolo Sciortino (Newton Compton Editori), perché ogni voce-capitolo gode di una narrazione veloce, non più di due pagine, e contagiosa come la... peste. Proprio una peste di città emerge da questo libro, in tutti i sensi. Peste: la malattia che la colpì nel XVII secolo. Peste: una metropoli «indiavolata» che appare in un modo, razionale e matematico fin dalla sua mappa di strade, per nascondere invece un nocciolo magico, indecifrabile, imprendibile come una bambina dall'energia senza fine, come quella figura geometrica, l'ellisse, da cui pare trarre persino il nome.
«Una Medhelan, per dirla col codice dei Druidi: un luogo sacro a forma di ellisse allineato alle costellazioni. I fautori dell'origine sacrale della città vedono i resti di un recinto ellittico che delimitava il luogo scelto per la fondazione intorno a piazza della Scala, tra via Manzoni e corso Vittorio Emanuele». Peste: una città nata duemila e cinquecento anni fa su palafitte che è arrivata a costruzioni coniformi di fabbriche e imprese, per ospitare il lavoro di due milioni di persone, peste perché se ci entri rimani contaminato per la facilità della vita che vi scorre come un fiume dal letto facile e dagli argini ben disegnati, ma inquietanti. «La peste falcia e il diavolo fa festa» è il titolo di uno dei capitoli dedicato a Lodovico Acerbi, marchese di Cisterna, arrivato da Ferrara fino a corso di Porta Romana numero 3 nel 1615, scambiato dai cronisti dell'epoca per il demonio.
E a proposito di argini: «I solchi della fatica sugli argini dei Navigli». Sono incisioni che rigano le pietre, come si può vedere dalla sponda dell'alzaia Grande, visibili in tempi di «sucia», ovvero di asciutta, nelle stagione autunnale e invernale. Questi segni paiono ferite impresse dalle unghie del mitico Biscione, stemma dei Visconti, parente del «bestione acquatico di Loch Ness, che sguazzava nel lago Gerundo, «il cui bacino era compreso tra le porte sud del comune meneghino e i territori di Crema e Bergamo». Invece non sono che i segni della fatica dell'uomo e del Duomo, questa cattedrale che antepone un «D» divina sulla parola «uomo», tanto che per costruirla i marmi della montagna di Candoglia arrivavano sulle chiatte che rigarono le sponde dei docili corsi d'acqua fluente dal lago Maggiore.
Peste, proprio come il diavolo. Milano sta per entrare nel 2013 e sta per ricordare l'editto di Costantino, la prima testimonianza di tolleranza di tutte le religioni, di tutti i culti, di tutte le fantasie della mente umana. Ancora adesso, ricorda il giornalista Paolo Sciortino, questo «porto senza il mare», e già da qui si intuisce l'originalità della metropoli, adagiata al centro di una pianura senza nessuna delle barriere che da sempre hanno protetto un grande insediamento umano, senza montagne, senza un fiume, senza mura faraoniche, è il porto in cui tutti culti prosperano, compreso il Candomblè, le cui «varianti sono il Macumba e il Voodoo», e trovano placido asilo. Città bianca o nera? E' una partita a scacchi senza fine la conoscenza magica di Milano, e non a caso proprio una scacchiera dalla difficile comprensione si trova nella chiesa di Sant'Ambrogio.
Ma alla fine il sapore che esce da questo volume decreta un solo colore: Milano città d'oro, città gialla.

Oro come la Madonnina che la protegge, giallo come il riso allo zafferano, forse discendente da un'arancino siciliano, che Sciortino consiglia di gustare «nell'osteria di via Mantegazza, per andare a conoscere il mistero del risotto». E' vestita di giallo zafferano questa magia architettonica padana, come le fate, quelle fate amiche di gnomi e unicorni che Indro Montanelli immortalò nell'epitaffio dedicato allo scrittore Dino Buzzati.

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