Misteri per orchestra

Gli enigmi in cui si addentra Filippo Facci nel suo ultimo libro (Misteri per orchestra, Mondadori, p. 130) mettono in luce alcuni dei più tenaci luoghi comuni che alimentano da secoli l’immaginario collettivo, a partire dalla morte prematura di Mozart, Paganini e Ciajkovskij. L’autore rilegge le biografie come cartelle cliniche e il catalogo delle malattie rivelate nell’anamnesi narrativa dissipa incrostazioni leggendarie. «I compositori trapassati per colpa dei medici e dei loro rimedi imbarazzanti, per malattie cioè cosiddette “iatrogene”, sono davvero parecchi». Ci ricorda Facci che i due Titani del diciottesimo secolo, Bach e Händel, furono entrambi accecati da un ciarlatano di nome John Taylor, autoproclamatosi oftalmoiatra reale. La rimozione del cristallino dall’occhio di Bach attraverso «un ferro appuntito lungo mezzo piede ne accellerò il declino fisico». Uno stiletto d’acciaio non sterilizzato attendeva Händel che «non vide mai più. Ma quando la cosa fu evidente, Taylor era già ripartito coi suoi carrozzoni decorati con occhi splendenti». Non meno stupefacenti gli intingoli usati per preparare i ferri del mestiere: misture di rospi, carne di serpente e umana, urina e feci. «Il tutto innaffiato da essenza di ginepro». Non se la passò meglio Mozart. Fin dalla più tenera età le infezioni che colpirono il divino fanciullo furono una caterva, "«mentre la Chiesa considerava peccato curare ogni malattia mandata da Dio - sempre per capire di che tempi stiamo parlando - il bimbetto tentava di sanare i malanni con carbonato di magnesio, radice di peonia, vischio, radice di iris, polvere d’avorio, mirra, lombrichi, cuore di rana, placenta e altre schifezze. Resta difficile anche solo distinguere, oggi, tra i sintomi delle malattie e i danni provocati dalle medicine». Non siamo troppo lontani dall’arsenico somministrato dal supposto invidioso collega Salieri nell’Amadeus di Milos Forman.
Altro martire fu Niccolò Paganini. Il suo aspetto fisico preludeva la fama sinistra che lo circondò già in vita. «Spalle strette ma forti, tronco gracile, braccia smisurate, dita a ragno, una spalla più alta dell’altra a furia di suonare con lo strumento rivolto verso il basso, all’italiana, alla Paganini». Per «l’impietosa società ottocentesca» il conto era stato pagato vendendo l’anima al Diavolo. All’indole bizzarra Paganini aggiunse l’ipocondria, il sospetto della sifilide. Rimedio: sempre il solito, mercurio. La continua assunzione provocò un tremito che «prendeva il sopravvento. (...) Ecco dunque le movenze a scatti di Paganini, la comica animalità del Satanasso, le grottesche riverenze della nera marionetta...». E questo è solo un frettoloso riassunto di quanto Facci ci informa. Per continuare la danza macabra colpisce il ritratto di un vivente, un predestinato, il bisnipote di Richard Wagner, Gottfried. Oggi egli non vive con le sorelle che dirigono il Festival di famiglia (Bayreuth), ma a Cerro Maggiore, in provincia di Milano. Perché? La risposta è legata all’indagine se la famiglia Wagner fosse nazista. Facci risponde seguendo le scoperte tragiche che accompagnarono l’adolescenza del giovane rampollo. In armadi proibiti, Gottfried scoprì filmati e lettere inequivocabili: padre Wolfgang e nonna Winifred in amabili passeggiate con il Führer e lo zio Wieland (poi regista sommo) dirigente il campo di concentramento di Flossenburg. Apprende che «Zio Wolf» (Adolf Hitler) faceva giocare babbo e zio, portava «dolci e giocattoli, si faceva leggere i compiti, la sera entrava nella loro nursery e si sedeva sul letto per raccontare le sue avventure, mostrando la pistola. Parliamo dell’uomo della Soluzione finale». Capisce che l’antisemitismo in famiglia era connaturato: la bisnonna Cosima Wagner, nata Liszt, nel 1882, «con Richard ancora vivo, aveva invocato la traduzione in tedesco del Saggio sulla disuguaglianza delle razze umane scritto dal conte Joseph de Gobineau». Per non parlare della nonna paterna Winifred, che al processo di Norimberga ostentò la sua ammirazione e alluse all’amicizia, diciamo vicina, con Hitler.

La reazione di Gottfried è adeguata: organizza feste a base di Elvis, si laurea con una tesi sull’ebreo Kurt Weill, si tatua la falce e martello, contesta apertamente il Festival e il Vietnam. Viene emarginato. Vaga in America, reietto dalla famiglia. Neppure lo si avverte della morte del padre, eppure lui è «l’unico discendente che ha lo stesso naso a becco d’aquila del bisnonno». Il Crepuscolo dei Wagner.

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