Il mistero sulla fine di «Bisagno»

Recentemente mi sono recato a trovare Elvezio Massai, il celebre vice comandante del Mitico Bisagno e decorato di medaglia d’argento e bronzo al valor militare.
Elvezio, che abita a Sori al piano terra di una caratteristica casetta vicino al mare, dalle cui finestre penetra un caldo «gettito» di sole che la rischiara tutta, mi ha accolto come un vecchio amico, anche se era la prima volta che l’incontravo e mi ha subito detto «diamoci del tu».
A casa sua lo ho incontrato in compagnia di un altro celeberrimo personaggio, il campione olimpico Eraldo Pizzo, il caimano, suo carissimo amico e che frequenta spesso e lo chiama col genovesissimo dialettale «veziu».
Sulla mia specifica domanda: «Bisagno è stato ucciso?», risponde: «Tutti o quasi lo pensano, ma non si può dire e del resto nel libro scritto da me e da P.L. Stagno tutto è piuttosto chiaro e specificato». E lancia anche il dubbio «che fosse stato avvelenato in occasione del suo viaggio a guerra finita» e prima di cadere, o forse fatto cadere, dalla vettura. Bisagno era un puro, un idealista, cattolico, liberale e monarchico (del resto ufficiale del regio esercito) ed a volte anche troppo rispettoso nei confronti dei superiori.
Elvezio Massai prima dell’8 settembre 1943 era al corso allievi ufficiali di Palermo ed in quello stesso tragico giorno si trovava in convalescenza a Recco. Ed è sulla piazza della chiesa che apprese del messaggio ambiguo e malefico del maresciallo Badoglio. Subito dopo, su consiglio del padre, prosegue Elvezio, si recò a Baiardo, ma poco dopo, non resistendo nella sua posizione di ambiguità, si recò in montagna con la divisione «Cichero» e divenne il vice di Bisagno.
Il glorioso ed eroico comandante e primo partigiano d’Italia era da tempo tenuto d’occhio da Barontini, poi deputato del Pci ed agente del Kgb sovietico, che voleva a tutti i costi farlo fuori o perlomeno dismetterlo o silurarlo.
Al momento dell’episodio di Fascià, narrato nel libro «Bisagno», Aldo Gastaldi fu convocato in quella località per essere esautorato. Però per fortuna, o forse per convinzione, Gastaldi aveva avvertito il suo vice, dislocato a quel tempo a Loco, di seguirlo perché non si sentiva tranquillo e non sapeva cosa sarebbe successo. O forse lo sapeva fin troppo bene. Prudentemente, ed aggiungo io opportunamente, Elvezio Massai non solo aderì all’invito o all’ordine del suo comandante, ma si preoccupò di farsi accompagnare da un folto gruppo dei suoi partigiani armati di tutto punto, il che evitò certamente la preordinata fine, se non altro morale, del comandante della «Cichero».
«Santo» imbracciato il mitra entra nella sala del locale, ove Barontini ed altri capi partigiani (Pci) stavano per disporre il siluramento dello stesso Bisagno ed avrebbe sparato sicuramente per salvare il suo comandante (avendo anche predisposto l’intervento dei suoi alpini), ma lo stesso Gastaldi con un segno della mano fece capire di fermarsi.
Fu raggiunto, commenta sempre «Santo», un solito compromesso all’italiana: Bisagno conservò il suo ruolo nella «Cichero», ma invece di comandante dell’intera zona fu nominato vice.
Secondo la volontà dei vecchi partigiani fedeli a Bisagno e specialmente di «Santo» e secondo la volontà delle sorelle dell’eroe, Bisagno doveva essere sepolto nel cimitero dei Partigiani a Staglieno ed invece, non si sa perché, fu sepolto nel Pantheon; altro mistero che forse bisognerebbe svelare e su cui indagare.
Alla fine della guerra Elvezio Massai aveva preso accordo con il fratello di Bisagno per fare una autopsia sul corpo del comandante, ma improvvisamente non si venne a capo di nulla, perché il fratello di Bisagno (chi sa perché!) decise con il senatore Raimondo Ricci, presidente dell’Anpi di non volerne più sapere, nonostante che le sorelle concordassero con «Santo», che tra l’altro aveva interpellato un cugino di Bisagno, illustre chimico, che aveva assicurato il suo intervento e che forse, anzi senza forse, avrebbe potuto definire completamente tutta la storia.


Dopo questa decisione lo stesso Massai per protesta diede le dimissioni da ogni carica nell’ambito del Consiglio e degli organi della Resistenza.
Alla fine della lunga chiacchierata il vice di Bisagno mi ha confessato che assieme a P.L. Stagno sta lavorando ad un libro «sulle nefandezze sulle poco pulite storie dell’ex Pci e non solo».

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