Il «modello Irpinia»? C’è ancora gente chiusa nei container

Caro Granzotto, che ne pensa del paragone che è stato fatto tra Abruzzo e Irpinia? Furono davvero più bravi e veloci nel 1980, allorché i primi prefabbricati vennero consegnati dopo soli 122 giorni?

Sono i soliti repubblicones ad aver tirato fuori questa fesseria. Il Giornale ha già risposto loro per le rime, ma resta il fatto che bisogna essere proprio in malafede, bisogna essere proprio tocchi per agitare, in veste antiberlusconiana, il «modello Irpinia». Che è rubricato sotto la poco onorevole voce di «terremoto più lungo della storia» (gli ultimi 157 milioni di euro destinati alla ricostruzione - legga bene, caro Polli: ricostruzione - sono stati stanziati con la finanziaria del 2007. E il sisma è del 1980. Quanto fa? Fa ventisette, ventisette anni). Che ha dato vita ad una inchiesta giudiziaria, la celebre, non dimenticata Irpiniagate, istruita per far luce («fare chiarezza», direbbero i repubblicones) sui 58mila 640 miliardi di lire, una cifra colossale, dilapidati per una ricostruzione condotta con tanta maestria che ancor oggi famiglie di terremotati vivono nella baracche. E non è che i fortunati inquilini delle nuove case possano dormir tranquilli, se è vero quanto afferma il professor Franco Ortolani, ordinario di Geologia all’Università di Napoli: «Trentasette Comuni dell’Irpinia, dopo il terremoto del 1980, sono stati ricostruiti applicando criteri antisismici insufficienti, sottostimati rispetto all’entità del pericolo. Migliaia di abitazioni sono a rischio crollo in caso di forte terremoto. Urgono interventi immediati e tempestivi, per eliminare una situazione di pericolo potenziale quanto mai grave». Vuole un altro dato della efficienza, della serietà e del rigore della ricostruzione? Sappia allora che i comuni colpiti dal sisma dell’80 furono relativamente pochi, una dozzina quelli completamente disastrati e un centinaio quelli più o meno danneggiati. E ora vuol sapere a quanti comuni toccarono i soldi per la «ricostruzione»? 687. Quattordici dei quali in Puglia.
Carta canta, caro Polli: l’onorevole Zamberletti, che coordinò il primo intervento, fece, nel limite delle possibilità materiali, un eccellente lavoro. Ma per mesi e mesi - in molti casi persino anni - gli sfollati si dovettero accontentare di tende, roulotte, container e perfino di vagoni ferroviari adattati a dormitori e mense. Ci furono, è vero, le «villette tipo chalet» portate dai repubblicones a prova che in Irpinia si fece meglio, di più e più rapidamente che all’Aquila. Quelle consegnate 162 giorni dopo l’ultima scossa si possono anche definire villette tipo chalet, perché no?, ma in realtà si trattava di 47 prefabbricati in legno, due stanze più un magnificato «piccolo patio». Comode, chi dice niente, ma provvisorie e che a consegne ultimate diedero temporaneo alloggio a circa trecento dei 280mila senzatetto. Gli altri 279 mila e 700 passarono l’inverno e la primavera, l’estate, l’autunno e così di seguito nelle tendopoli, camperopoli, containeropoli e baraccopoli varie. Come ho accennato prima, un migliaio di loro sono ancora lì che aspettano, ospitati negli «alloggiamenti provvisori».

Per concludere, caro Polli, quella di voler mettere a confronto, a tutto discapito di Berlusconi e di Bertolaso, ciò che si fece in Irpinia con ciò che si è fatto in Abruzzo è l’ennesima conferma che godiamo, alla grande, di una incondizionata e perentoria libertà di stampa. Nella fattispecie, libertà di mistificare e sparare balle a tutto spiano, specialità della quale i repubblicones ovviamente detengono il primato assoluto.

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