È il maestro dell'underground americano, il capostipite di un movimento che ha portato il graffittismo sotto i riflettori di gallerie e musei, l'ideatore di uno stile che è diventato linguaggio, ma anche scuola di vita e libertà generazionale: uno stile leggendario, che mescola mondo infantile e pop; un tratto primordiale, frutto di spessi perimetri che definiscono le figure e la narrazione. È una parabola rapida e folgorante, consumata nell'arco di una sola decade. È Keith Haring (1958-1990), eroe dell'arte anni Ottanta, morto trentunenne di Aids.
Oggi il testimone di quella stagione irripetibile torna come protagonista al Castello Visconteo di Pavia. Con un volo diretto dalla Reggia di Caserta, è arrivato in prestito (fino al 29 marzo) un grande acrilico del 1983 («Senza titolo»), di tre metri per sei, ideato dall'artista per i bambini terremotati dell'Irpinia e parte della collezione «Terrae Motus», donata alla Reggia dal gallerista napoletano Lucio Amelio. Della collezione fanno parte una settantina di maestri dell'arte contemporanea internazionale (da Boltanski a Beyus da Boetti a Cragg, fino a Kiefer, Mapplethorpe e Rauschenberg).
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