Bandiera nera a Kobane: i curdi non ce la fanno più ma i turchi non li aiutano

Battaglia con gli jihadisti penetrati nei sobborghi della città al confine siriano. I carri armati di Erdogan restano immobili

Bandiera nera a Kobane: i curdi non ce la fanno più ma i turchi non li aiutano

RomaDue vessilli neri dell'Is sventolano su Kobani. Il primo su un palazzo di quattro piani nella zona est, area di violenti scontri degli ultimi giorni, il secondo su una collina. Ma la città curda al confine tra Siria e Turchia non sarebbe ancora caduta nelle mani dei jihadisti. I combattenti dell'Ypg sarebbero infatti riusciti a tenere l'Isis lontano dal centro della martoriata cittadina, accerchiata su tre lati da settimane e da giorni sotto il fuoco dei mortai, rispondendo colpo su colpo ai tentativi di avanzata delle milizie dello Stato Islamico (Is) dopo che i raid aerei della coalizione internazionale non avevano stoppato il cammino degli uomini del califfo Abu Bakr al-Baghdadi.

Anche ieri la battaglia è proseguita sotto lo sguardo imperturbabile dei soldati turchi, schierati a poche centinaia di metri, dall'altra parte del confine. «Ci sono scontri nelle vicinanze, ma l'Is non è entrato in città, l'Ypg sta resistendo», ha spiegato un rappresentante del Pyd, omologo siriano del Pkk. E il comandante delle forze curde nella città sotto assedio, Esmat al-Sheikh, ha fatto capire che nessuno intende arrendersi ai jihadisti: «Se entrano a Kobani, sarà la tomba per noi e per loro: finché vivremo non li lasceremo passare».

Passano invece ogni giorno dal Nord della Siria in Turchia centinaia di rifugiati, in fuga dall'avanzata del Califfato. Ma l'Is starebbe cercando di sfruttare a suo vantaggio anche il dramma umanitario in atto. Secondo fonti di intelligence citate dal domenicale tedesco Bild Am Sonntag , lo Stato Islamico avrebbe infiltrato cellule operative tra i rifugiati siriani, virtualmente impossibili da individuare nella massa di disperati anche per le «caotiche condizioni del confine». Dalla Turchia, che è anche il «porto d'ingresso» verso Siria e Iraq per i volontari che dall'Occidente si uniscono alle fila dell'Is, gli uomini dei commando farebbero invece il percorso opposto, dirigendosi con documenti falsi verso le nazioni della Ue per compiere attentati. Dopo i timori di infiltrazioni terroristiche tra i clandestini accolti con l'operazione Mare Nostrum, l'arrivo di cellule operative via terra è un nuovo pericolo per l'Europa.

A proposito di Turchia, ieri il Times ha rivelato che i 46 ostaggi turchi, catturati dall'Is a Mosul e liberati lo scorso 20 settembre al posto di frontiera di Akçakale dopo 100 giorni di prigionia, sarebbero stati scambiati con 180 jihadisti dell'Is, tra i quali almeno una dozzina di foreign fighters , volontari provenienti da Belgio, Francia, Gran Bretagna, Macedonia, Svezia e Svizzera.

Erdogan, dopo la liberazione degli ostaggi, aveva parlato di «operazione segreta» degli 007 di Ankara e di «vittoria della diplomazia». Ma già nei giorni successivi, la stampa turca aveva ipotizzato che la restituzione dei 46 concittadini (prima della quale la Turchia aveva negato ogni coinvolgimento nella mobilitazione internazionale contro lo Stato Islamico) fosse frutto di uno scambio di prigionieri con il Califfato.

Intanto, negli Usa, i genitori di Peter Kassig hanno pubblicato su Twitter una lettera ricevuta il 2 giugno dal figlio, l'ostaggio che il tagliagole «Jihadi John» nell'ultimo video dell'Is, dopo aver sgozzato il tassista inglese Alan Henning, ha annunciato essere la prossima vittima.

Nella lettera Kassig, che si è convertito all'Islam durante la prigionia, scrive di aver «paura di morire», e aggiunge che «la cosa più difficile è non sapere, immaginare, sperare se posso addirittura sperare ancora». «Vi amo», scrive infine ai genitori Kassig, che era andato in Siria con l'organizzazione umanitaria che lui stesso aveva fondato.

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