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Il Bangladesh e il pericolo dell'islam radicale

L'Isis ha rivendicato l'attacco armato avvenuto ieri all'italiano Piero Parolari e ha confermato l'uccisione di Cesare Tavella, il cooperante freddato nel settembre scorso. Ora il rischio di violenze islamiste è sempre più concreto

Il Bangladesh e il pericolo dell'islam radicale

I militanti dell’Isis hanno rivendicato il tentato omicidio in Bangladesh del medico e sacerdote italiano Piero Parolari. “Il crociato italiano Pietro Parolari che opera da anni in una campagna missionaria nel distretto di Dinajpur”, si legge nel comunicato diffuso oggi dagli uomini neri del Califfo, “è stato attaccato con diversi colpi sparati da una pistola con silenziatore che gli hanno provocato gravi lesioni”.

Da più di trent’anni nel Paese asiatico, il missionario del Pontificio istituto missioni estere (Pime) è stato attaccato nella notte di ieri - le otto del mattino in Bangladesh - da tre uomini armati nella città di Dinajpur, a circa trecento chilometri a nord della capitale. Si era temuto il peggio. Per fortuna, dall’ospedale militare di Dacca - dove è stato trasferito d’urgenza - fanno sapere che non è in pericolo di vita. Intanto, oggi, con l’accusa di essere coinvolto nel tentato omicidio di Parolari, Mahbubur Rahman Bhutto, ledaer locale di Jamaat-e-Islami è stato arrestato.

L’attacco al sacerdote è arrivato meno di due mesi dopo l’uccisione di Cesare Tavella, il cooperante italiano freddato a colpi di pistola nella zona diplomatica di Dacca lo scorso 28 settembre. Tavella lavorava come project manager nel settore dell’agricoltura locale e dell’alimentazione per un’organizzazione olandese, la Icco Cooperation, che ha uffici in Bangladesh. L’omicidio era stato subito rivendicato dall’Isis, ma le autorità bengalesi, screditando la rivendicazione, avevano puntando il dito contro gruppi dell’opposizione. L’obiettivo, secondo il governo, sarebbe stato quello di destabilizzare il Paese. Non è una novità. Da un anno a questa parte - dopo le ultime elezioni politiche del gennaio 2014, boicottate dal Bangladesh Nationalist Party (Bnp), il principale partito d’opposizione legato a gruppi islamici – ogni atto di violenza viene considerato come un tentativo di creare il caos e sovvertire la guida del Paese.

Ma ieri, nel giorno dell’agguato al missionario Parolari, l’Isis è tornata a rivendicare l’uccisione di Tavella. Lo ha fatto attraverso le pagine della propria rivista in lingua inglese Dabiq. Basta sfogliarlo e arrivare a pagina 41. Un articolo parla della “rinascita del jihad nel Bengala” ed è corredato da una foto del cooperante italiano con una didascalia più che esplicita: “crociato italiano ucciso dai soldati del Califfato”. Nel testo, oltre ad accusare il governo del Bangladesh “di mentire apertamente sulla presenza del Califfato sul proprio territorio”, si legge che “una cellula di sicurezza appartenente ai soldati del Califfato nel Bengala ha assassinato un crociato italiano di nome Cesare Tavella in una strada di Gulshan nella città di Dacca. Questo atto nobile ha sconvolto i tiranni del Paese e anche i crociati che vivono lì, avendo avuto luogo in una zona che dovrebbe essere la più sicura area residenziale del Paese”.

E’ chiaro che nel Paese asiatico il rischio di violenze islamiste è sempre più concreto. Pochi giorni dopo la morte di Tavella è stato ucciso anche il cooperante giapponese Hoshi Koinyo. Due mesi fa la polizia del distretto di Pabna ha arrestato cinque musulmani che avevano tentato di uccidere nella propria casa il pastore protestante Luke Sarkar. I fermati farebbero parte del gruppo fondamentalista islamico Jama’atul Mujahideen Bangladesh (Jmb). Negli ultimi mesi una serie di blogger colpevoli di essere laici sono stati giustiziati. Nel febbraio 2015 è toccato a Avijt Roy. A marzo è stata la volta di Oyasiqur Rahman. Due mesi più tardi ad essere ucciso è stato Ananta Bijoy Das. Erano tutti membri del movimento antifondamentalista Ganajagaran Mancha. L’islam più violento ha anche pubblicato una lista con i nomi di 82 persone da uccidere. Ma non solo: alcuni presunti terroristi sono stati arrestati e diversi bengalesi starebbero combattendo in Siria ed Irak sotto le bandiere dell’Isis.

“L’idea di califfato islamico è attraente agli occhi di molti”, ha spiegato su Mondo e Missione - la rivista del Pime - padre Franco Cagnasso in un articolo che porta la firma di Gerolamo Fazzini. “A ciò si aggiunge il fatto che, in Bangladesh, esiste un sottobosco, al di sotto di una tradizione di islam tollerante, composto da giovani formati nelle madrasse, le scuole islamiche di matrice araba, che hanno una visione non molto tollerante, anche se non direttamente violenta”. Sempre sulla rivista dei missionari, padre Giulio Berutti, direttore delle Credit Unions - le banche per i poveri - della diocesi di Dinajpur, aggiunge che “quanto accade oggi è l’onda lunga di un fenomeno iniziato anni fa e cresciuto col tempo”. Negli anni settanta, dopo che l’islam è diventata religione di Stato, “dal Golfo Persico sono stati riversati sul Paese soldi in gran quantità e abbiamo visto spuntare come funghi nei villaggi moschee in muratura”. Non a caso, infatti, dal 1980 in poi, nel Paese sono aumentati gli attacchi a chi viene considerato infedele.

In queste ore, in Bangladesh, si respira un clima molto teso. Si temono nuove violenze dopo che la Corte Suprema ha rigettato il ricorso contro la condanna a morte dei due leader dei principali partiti di opposizione per crimini legati alla guerra che portò nel 1971 all’indipendenza del Paese. Si tratta di Salauddin Quader Chowdhury del Bnp e Ali Ahsan Mohammad Mujahid del partito islamista Jamaat-e-Islami.

Questa situazione potrebbe infiammarsi da un momento all’altro e gli attacchi contro gli occidentali potrebbero aumentare.

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