Il Congo e quell'usanza degli stupri di gruppo

Il Paese di Butungu è considerato la "capitale degli stupri". Soprattutto commessi da gang spietate di violentatori

Il Congo e quell'usanza degli stupri di gruppo

Il congolese Guerlin Butungu, capobranco del ben noto gruppetto di stupratori di Rimini, ha agito con modalità tipiche di quello che in Africa è spesso noto come “gang rape” e guarda caso il Congo è uno di quei paesi dove tale fenomeno avviene con maggior frequenza. La letteratura al riguardo abbonda sia sul web che sul cartaceo.

Non a caso nel 2010 la rappresentante ONU per le violenze sessuali, Margot Wallstrom, definiva il Congo “la capitale mondiale degli stupri”, che restano in gran parte impuniti, nonché “il posto più pericoloso al mondo per una donna”.

Le testimonianze sono numerose, come a Bukavu nel giugno del 2016, dove venivano denunciati numerosi casi di ragazze e ragazzine, anche giovanissime, prelevate di notte dalle proprie abitazioni assaltate da gruppi di stupratori, per essere violentate a turno nel bosco e poi gettate al suolo e abbandonate come “merce consumata”.

Una scena raccapricciante che ricorda molto le dinamiche che abbiamo visto a Rimini. Una coppia che viene assaltata, picchiata, lei stuprata e poi gettata in acqua… Al trans peruviano spetterà poi la stessa sorte.

Una gang spietata di violentatori che scorazza per la città pensando di poter fare il bello e il cattivo tempo. Chissà, magari Butungu pensava di essere ancora in Congo, o che in Italia funzionasse allo stesso modo.

Del resto esistono testimonianze di ex miliziani congolesi che parlano chiaro, come alcuni intervistati sul lago Kivu nel 2013 dal Guardian:

“Eravamo in venticinque e abbiamo stabilito che avremmo violentato dieci ragazze a testa…Io ne ho stuprate 53 ed anche bambine di cinque o sei anni”.

Un altro ventiduenne dichiarava:

“Non ho violentato perché ero arrabbiato, ma perché ci dava piacere. Quando siamo arrivati qui abbiamo incontrato tante donne. Potevamo fare quello che volevamo”.

Si è spesso sentito associare il gang-rape a guerriglie interne al Paese, ma quella è solo una parte del problema, perché il fenomeno è ben più vasto ed esteso.

Del resto anche in altri paesi africani, come ad esempio la Nigeria, i casi non mancano. Basta tornare al dicembre 2011 quando una donna venne aggredita e violentata a turno da cinque soggetti, tutto filmato in un video poi finito in rete. Nel filmato si vedono gli assalitori “all’opera” mentre ridono e la donna che a un certo punto, per la disperazione, chiede addirittura di essere uccisa. Un fatto raccapricciante che aveva generato orrore a livello mondiale, come documentava la BBC.

Non serve però andare troppo indietro nel tempo, perché lo scorso luglio in un campus dell’Ondo State in Nigeria, una studentessa veniva stuprata a turno da cinque ragazzi che avevano anche filmato il tutto con un telefonino.

Due mesi prima ad Ogba due soggetti di 25 e 30 anni violentavano una ragazzina di 13 nei pressi di una chiesa. Erano tutti e tre membri della stessa congregazione religiosa.

Nel 2016 un report pubblicato da Uchendu e Forae, due ricercatori dell’ Annals of Biomedical Studies/African Journals Online, rendevano noto come nella città nigeriana di Benin City il gang-rape stava diventando una vera e propria “epidemia”, con 133 casi in 6 anni.

Per concludere, in Africa la violenza sessuale sulla donna e il gang-rape sono non soltanto una consuetudine ma anche un crimine che resta molto spesso impunito. Spalancare indiscriminatamente le porte all’immigrazione dall’Africa, senza alcun filtro, implica l’elevato rischio di far entrare sul territorio anche personaggi che non hanno scrupoli a ripetere qui certe pratiche che sono “cosa comune” nei propri paesi d’origine.

Butungu era arrivato col “barcone” a Lampedusa, così come Usman Matammud, il violentatore-torturatore somalo operante in Libia e

fortunatamente riconosciuto e segnalato da alcune sue ex vittime mentre si aggirava tranquillamente per la Stazione Centrale di Milano. Certe politiche irresponsabili giocano col fuoco e purtroppo sono i cittadini a bruciarsi.

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