A Edimburgo è arrivata l'ora X. Ecco perché l'addio è a un passo

Oggi il voto storico. Il premier inglese: è un incubo, ma non mi dimetterò. Tasse e petrolio al centro della contesa, non solo l'orgoglio nazionalista

A Edimburgo è arrivata l'ora X. Ecco perché l'addio è a un passo

Immaginate di avere votato alle ultime elezioni politiche, di avere scelto un solo deputato conservatore su 59 nella vostra regione e di trovarvi invece governati da una maggioranza conservatrice. Immaginate che il vostro Parlamento locale si sia pronunciato all'81 per cento contro i tagli ai servizi pubblici e all'82 per cento contro l'aumento dell'Iva e che il governo centrale decida invece di adottare una Finanziaria «lacrime e sangue» e introdurre l'imposta sui consumi. Immaginate che nei vostri mari ci siano le più vaste riserve petrolifere dell'Unione europea ma che tutte le entrate fiscali le incassi il ministero del Tesoro, sede a Londra. Immaginate che Standard & Poor's, una delle principali agenzie di rating al mondo sostenga, dati alla mano, che se vi staccherete da Londra, otterrete una tripla A (quella che gli inglesi hanno perso), e che lo farete anche senza il petrolio e anche senza la sterlina. Immaginate che il governo centrale, a cui avevate chiesto maggiori poteri, vi abbia risposto picche ma che ora, quando state per voltargli le spalle, vi prometta poteri più ampi. Immaginate di avere già un sistema legale diverso da quello che regola il diritto nel resto del Paese e di avere una nazionale di calcio e una di rugby separate, inno e bandiera diverse. Ecco alcune delle ragioni che spiegano quello che ad alcuni sembra ancora inspiegabile: il perché gli scozzesi possano decidere di separarsi dal Regno Unito, sesta potenza mondiale, terza in Europa.

La Scozia oggi sceglie il suo futuro. E quello del Regno. Se resterà unito o no lo dirà l'esito del referendum al quale si è registrato il 97 per cento della popolazione adulta (sedicenni compresi), oltre 4 milioni di elettori su una popolazione di poco più di 5 milioni. Un record storico che batte la partecipazione a qualsiasi altra elezione o referendum. «Dovrebbe la Scozia essere un Paese indipendente?» è il quesito al quale gli elettori dovranno rispondere. Sì o No. Secco. È un voto che farà la Storia non solo per la sua simbologia - il referendum è stato concesso democraticamente dal governo centrale al governo locale scozzese dopo 307 anni di proficua unione - ma anche perché mai come in questa congiuntura storica gli indipendentisti che vogliono staccarsi da Londra potrebbero farcela, nonostante i sondaggi dell'ultima ora diano il «No» nuovamente in vantaggio, di poco, e gli scommettitori puntino sulla vittoria degli unionisti. La rimonta, dopo il sorpasso dei Sì registrato una settimana fa dai sondaggi, è con molta probabilità il frutto della mobilitazione last minute dei vertici di tutto l'arco istituzionale - il primo ministro conservatore David Cameron, il suo vice liberaldemocratico Nick Clegg, il leader dell'opposizione laburista Ed Miliband - e degli interventi, dai toni a volte catastrofici, dei protagonisti nei settori nevralgici dell'economia e della finanza.

Il capo del governo ha ammesso ieri al Times di essere «preoccupato» e che, of course, certo che la prospettiva di una sconfitta non lo faccia dormire la notte, ma ha ripetuto che non si dimetterà in caso di vittoria dei nazionalisti scozzesi: «Il mio nome non è sulla scheda elettorale». Poi ha definito «inquietanti» le intimidazioni del governo scozzese nei confronti di alcuni imprenditori. In effetti il clima nelle ultime ore si è surriscaldato e anche il leader laburista Miliband è stato costretto ad allontanarsi da un centro commerciale dove stava facendo campagna per il «No» a causa delle contestazioni.

Il più rilassato alla fine è Alex Salmond, il first minister scozzese e leader dello Scottish National Party, che si gioca la partita di tutta la carriera politica ma ha già incassato il grande risultato di una massiccia mobilitazione ed è stato il

key player di questo referendum. «Lo spazio per le parole è quasi esaurito», ha scritto ieri in una lettera aperta agli scozzesi. «Il futuro della Scozia, il nostro paese, è nelle nostre mani». Anche quello del Regno Unito.

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