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Iraq, 100 foreign fighter europei rischiano la pena di morte

Arrestati dopo la presa di Mosul, 100 foreign fighter europei rischiano di esser condannati a morte. Molti dei paesi di provenienza, infatti, rifiutano di rimpatriarli

Iraq, 100 foreign fighter europei rischiano la pena di morte

Mosul, conquistata dai miliziani di Abu Bakr al-Baghdadi nel 2014, è stata liberata lo scorso luglio. Alle stime dei morti e dei feriti si aggiungono quelle dei tagliagole arrestati dall’esercito iracheno. Tra loro anche un centinaio di foreign fighter europei che rischiano la pena capitale.

Belgi, britannici e francesi. Queste, secondo le dichiarazioni rilasciate alla Tv Belga RTBF dall’ambasciatore iracheno a Bruxelles, Jawad al-Chlaihawi, le nazionalità dei jihadisti in attesa di giudizio. Tutti partiti dal vecchio continente alla volta della polveriera mediorientale per imbracciare il kalashnikov sotto l’egida del sedicente Stato islamico. Per lo più uomini, europei di seconda o terza generazione residenti nelle tante banlieues occidentali, che hanno percorso la cosiddetta “autostrada del Jihad” e, dalla periferia di Ankara, sono entrati nei territori controllati dalle bandiere nere per addestrarsi e combattere.

Quando sono iniziate le operazioni di liberazione dell’ex roccaforte nera, ad ottobre 2016, gli accoliti del Califfo si erano cimentati in una disperata fortificazione della città. A distanza di mesi dalla capitolazione del baricentro iracheno dello Stato islamico, i foreign fighter europei, assieme a quelli turchi, ceceni e dei Paesi dell’Asia centrale, attendono di esser giudicati e, secondo le leggi vigenti in materia di terrorismo, ad attenderli è la forca. Anche perché, come ha spiegato al-Chlaihawi, alcuni dei paesi di provenienza dei terroristi non sarebbero intenzionati riaccoglierli.

Altrettanto incerte sarebbero le sorti delle loro famiglie, circa 1.400 persone. La Francia, ad esempio, “supporta il rimpatrio dei bambini per motivi umanitari” ma non quello delle donne adulte. Ahmed al-Taje, colonnello iracheno di stanza nella tendopoli a sud di Mosul, dove sono alloggiati i parenti dei foreign fighter, ha spiegato alla Reuters che “le famiglie dei miliziani sono sottoposte a misure di sicurezza severe, in attesa di ordini governativi sul da farsi”.

“Li trattiamo bene”. Anche se le forze lealiste hanno rassicurato sulle condizioni di donne e bambini, i corrispondenti dell’agenzia di stampa britannica che hanno visitato il campo denunciano una situazione orribile. “Centinaia di donne e bambini seduti su materassi, circondati da insetti e costretti a dormire in tende senza aria condizionata”.

Lì, una donna d’origine cecena trapiantata a Parigi gli ha confidato: “Voglio tornare in Francia, ma non so come fare”.

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