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L’elezione di Sadiq Khan e il fallimento di Londra

Il modello multiculturale britannico ha portato a una frammentazione del contesto sociale e urbanistico, dividendolo in ghetti etnici, culturali e religiosi

L’elezione di Sadiq Khan e il fallimento di Londra

L’elezione a Londra del primo sindaco musulmano della sua storia, Sadiq Khan, immortalato in foto con un cartello “refugees welcome” fa esultare i sostenitori di quel modello multiculturale britannico che ha però dimostrato da tempo di essere totalmente fallimentare: quartieri ghetto a Londra, Birmingham, Leicester, Manchester, dove un occidentale viene guardato con sospetto, dove è proibita la vendita di alcolici o la semplice camminata mano nella mano tra fidanzati, tutto rigorosamente controllato da ronde per l’implementazione della sharia; zone dove molti negozi chiudono cinque volte al giorno affinchè i fedeli possano recarsi nella più vicina moschea per pregare. Aree dove non sembra proprio di essere in Europa e dove l’estremismo di matrice islamista trova terreno estremamente fertile.

Un “multiculturalismo” che ha portato a una frammentazione del contesto sociale e urbanistico, dividendolo in ghetti etnici, culturali e religiosi in conflitto con gli autoctoni sul piano dei valori e dell’identità, al punto tale che ha addirittura permesso che si creasse un doppio binario giuridico con la sharia che affianca e mette a repentaglio la legge dello Stato.

Un esempio? Le decine di tribunali islamici che legiferano ed emettono liberamente verdetti sulla base della sharia, con tanto di “giudici” che si riuniscono all'interno delle moschee e delle madrasse di quartiere.

Tribunali liberi di legiferare su casistiche relative principalmente in materia di matrimonio e divorzio, eredità e contese patrimoniali. Il primo caso di corte islamica (Consiglio della Sharia Islamica) in Gran Bretagna risale al 1982 a Leyton, zona a est di Londra. Il fenomeno si è poi espanso a macchia d’olio.

I quartieri-ghetto, presenti anche in Francia e Belgio, sono estremamente pericolosi sul piano della sicurezza in quanto diventano ricettacolo per jihadisti ed estremisti, liberi di pianificare e perpetrare i propri attacchi, contando sull’omertà dei residenti. Il caso Molenbeek in Belgio parla chiaro.

Non dimentichiamo poi che la Gran Bretagna ha ospitato per decenni gruppi islamisti e jihadisti di ogni tipo: Fratelli Musulmani, al-Muhajiroun, Islam4UK, Hizb ut-Tahrir.

Predicatori radicali del calibro di Abu Hamza (ex imam a Finsbury Park), Abu Qatada e Omar Bakri Muhammad sono stati liberi di scorazzare e spargere odio in lungo e in largo mentre ancora oggi risulta attivo Anjem Choudary.

La Gran Bretagna, assieme a Francia e Belgio, ha fornito il numero più alto di foreign fighters partiti per la Siria e molti di loro hanno gravitato in quegli ambienti islamisti radicali a lungo tollerati da Londra. Del resto le manifestazioni di elementi estremisti con tanto di cartelli “Sharia in UK” e “Islam will dominate the world” li abbiamo visti tutti.

Nel 2011 uscì un filmato dal titolo “My brother the Islamist”, dove veniva svelata la storia di Richard Dart, ex impiegato della BBC diventato poi estremista islamico e condannato nell’aprile 2013 a sei anni per terrorismo, assieme a due “confratelli”.

Altro elemento interessante, ancora oggi la Gran Bretagna non ha leggi che permettono l’arresto di jihadisti di ritorno dalla Siria, nonostante ciò, lo scorso novembre alcuni media britannici lanciavano un allarme in relazione alla presenza di 3000 islamisti presenti in territorio britannico e pronti a colpire.

Tutti aspetti su cui riflettere se si vuole realmente salvaguardare la sicurezza del nostro paese.

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