È la sera del 29 giugno. Click. Chloe Connell, giornalista francese che vive ad Istanbul dall’inizio degli anni Novanta, ha appena spento l’abat-jour quando arriva inatteso il suono di un messaggio. “Sarà mio marito che mi augura la buonanotte”, pensa la donna tra sé e sé. Afferra l’apparecchio, si stropiccia gli occhi, mette a fuoco il display. E’ il consolato francese che avvisa: “Attentato all’aeroporto di Ataturk, stare lontano dall’area”. Questo è il prologo della lettera scritta dalla Connell nelle drammatiche ore che seguiranno. A metà tra lo sfogo e la testimonianza, tra l’onirico e il reale, la penna della giornalista traccia sottile la linea su cui oscillano le esistenze di chi vive in una città esasperata dall’ennesimo attentato. La lettera è stata ripresa integralmente da Al Jazeera.
“Ho sentito il mio intestino contorcersi e non riuscivo a realizzare. Era successo di nuovo. Ho immaginato alcune bambine con i loro trolley rosa correre verso il gate poco prima di venir travolte dall’esplosione. Non riuscivo a respirare, ho sentito il mondo chiudersi su di me, su di noi. Ho provato dolore”. “La vita in Turchia è difficile, un’altra bomba, il numero dei morti cresce ancora”. Quello che si è consumato lo scorso mercoledì è solo l’ultimo attacco in ordine di tempo nel paese della mezzaluna che, da un anno a questa parte, è stato martoriato da almeno dieci grandi attentati soprattutto in città come Istanbul e Ankara. I cittadini turchi sono “carne da cannone”, scrive la Connell. Offrendoci l’identikit di un popolo che è vittima del terrorismo ma anche del fare ambiguo ed autoritario del governo e della diffidenza e del pregiudizio degli occidentali. “Come mai i morti in Francia o in Belgio sono in qualche modo più importanti? Alcuni giornalisti scriveranno di quanto è ipocrita tutto questo, di come è ingiusto che le morti dei turchi sembrano significare meno per il mondo”.
“Sono triste e sono stanca. Stanca di preoccuparmi per i voli aerei di mio marito. Stanca di vivere calcolando i fattori di rischio sull’opportunità di prendere i mezzi pubblici o meno. Stanca di chiedermi se devo portare i miei figli a scuola. E’ sicuro? E’ opportuno? Non possono rimanere permanentemente rinchiusi nella sicurezza delle nostre case, no?”.
“Fuori, nelle strade e sui bus, nelle scuole e negli uffici, lo stato d’animo è quello della rabbia. La gente è arrabbiata, perché sente di aver subito un torto, di esser diventata carne da cannone per gli altri”. “Frustrati”, “arrabbiati” e “incompresi”.
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