L'Iran si arricchisce bruciando bandiere americane

Un'industria che confeziona le bandiere dei "nemici" da comprare e bruciare durante le manifestazioni di piazza: è questo l'affare d'oro degli ayatollah che ordinano la produzione di decine di migliaia di vessilli di Stati Uniti, Gran Bretagna e Israele

L'Iran si arricchisce bruciando bandiere americane

A poca distanza da Teheran, la capitale della Repubblica Islamica dell'Iran, si lavora duramente per confezionare decine di migliaia di bandiere dei nemici del popolo iraniano che poi verranno bruciate nelle continue manifestazioni di piazza fomentate dagli ayatollah - che insieme ai dirigenti di questa singolare fabbrica traggono profitto da questa discutibile attività.

Oltraggiare la bandiera nei nemici sembra essere un passatempo adorato dagli iraniani, che pare non vedere l'ora di riunirsi in manifestazioni di protesta per bruciare e calpestare il vessillo a stelle strisce degli Stati Uniti, la famosa Stars and Stripes, la bandiera bianca e celeste d'Israele che porta al centro la stella di Davide, e perfino l'Union Jack del Regno Unito di Gran Bretagna. Altra potenza occidentale che si è guadagnata l'inamicizia di aytollah e pasdaran. Nessuno poteva immaginare però quale fosse il giro d'affari che si nasconde dietro questo discutibile "costume nazionale" che ha dato vita ad un vero e proprio business, finché gli inviati dell'agenzia d'informazione Reuters non hanno visitato in prima persona la fabbrica di "Diba Parcham": struttura industriale specializzata nella produzione di bandiere dei Paesi invisi al governo teocratico di Tehran; specialemente i due "Satana", come definisce nei suoi proclami l'aytatollah Khomeini l'America e Israele.

La fabbrica in questione si trova a Khomeyn, città 320 km a sud di Teheran, e da suoi telai ogni mese escono ben duemila bandiere americane, israeliane, e britanniche che sono destinate ad essere esibite, dileggiate, calpestate ed infine inzuppate nella benzina per essere date alle fiamme dalla folla inferocita. Il proprietario dello stabilimento, Ghasem Ghanjani, non ha avuto grandi remore del dichiarare la verità davanti agli inviati della stampa estera: "Non abbiamo alcun problema con il popolo americano o con quello israeliano" ha dichiarato, aggiungendo prontamente che sono i loro governanti il "problema" e la motivazione per la quale gli iraniani bruciano le loro bandiere come simbolo di protesta e sentimento d'odio che provano per loro e per le sanzioni che hanno messo in ginocchio il Paese. "Abbiamo un problema con i loro presidenti, con la loro politica sbagliata", prosegue il proprietario della "ditta", specificando che "se la gente brucia le bandiere di questi Paesi in diverse manifestazioni è solo per protesta". Una protesta duratura e dura a morire, se si calcola che ogni anni vengono prodotte quasi un milione e mezzo di metri quadri di bandiere: tutte destinate alle fiamme.

"Rispetto alle azioni codarde degli Stati Uniti come l'assassinio del generale Qassem Soleimani, bruciare una bandiera americana è solo il minimo che si possa fare", ha affermato invece uno degli altri responsabili della fabbrica; rivelandosi più "incendiario" e politicizzato di mister Ghanjani, che in barba all’antiamericanismo e antisionismo con il quale la popolazione iraniana viene indottrinata fin dal 1979, alla fine dei conti ammette una verità spiazzante, e spiccatamente capitalistica: "Sono solo affari”. E se così tanti chiedono bandiere a stelle e strisce da bruciare, qualcun altro dovrà pur procurargliele.

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