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L'islam radicale e quel "verdetto eterno" che ha condannato Rushdie

La fatwa emessa nel 1989 dall'ayatollah Khomeini contro Salman Rushdie non è mai stata ritirata ed è tuttora valida contro l'autore de I versetti satanici

L'islam radicale e quel "verdetto eterno" che ha condannato Rushdie

Nel 1989 l’ayatollah Khomeini lanciò una fatwa contro Salman Rushdie condannandolo a morte per il libro I versetti satanici, che era considerato irriverente, blasfemo, dai religiosi più integralisti. La fatwa è ancora valida, anche se il politologo francese Dominique Moïsi, intervistato dal Corriere della Sera, ha spiegato che c’era stato un momento di apertura e moderazione durante il quale le autorità iraniane erano intenzionate a sospenderla, ma che vi erano divisioni tra gli ayatollah e che alla fine aveva vinto l'ala maggiormente conservatrice.

Quella Fatwa mai ritirata

"Nel 1998 il governo iraniano dichiarò che non avrebbe mai appoggiato un tentativo di assassinio verso Rushdie, ma la fatwa non venne comunque ritirata. Per gli islamisti radicali la fatwa vale per sempre, a meno che non venga ritirata dall'autorità religiosa che l'ha emessa. In questo caso quindi solo Khomeini avrebbe potuto abrogarla. Con la sua morte nel 1989, l'editto è stato reso immutabile. Ancora nel 2019 la stessa guida suprema, l'ayatollah Khamenei ha definito ‘irrevocabile’ il verdetto di Khomeini perché si basa su versi divini”, ha precisato Moïsi.

Nel 2015 l’Iran aveva boicottato la fiera di Francoforte in quanto gli organizzatori avevano invitato Rushdie, che era stato definito come una persona odiata nel mondo islamico. Da non dimenticare che l’anno seguente, nel 2016, era stata emessa una nuova ricompensa per chiunque lo avesse ucciso. Ancora non si sa molto dell’aggressore che ha accoltellato Salman Rushdie mentre parlava sul podio di un evento a New York, ma l’impressione di Moïsi è che non si sarebbe trattato del gesto isolato di un pazzo, soprattutto perché riuscire a infiltrarsi e sorpassare le misure di sicurezza nella Grande Mela non è affatto una impresa semplice, ma richiede l’intervento di professionisti.

Una risposta all'uccisione di al-Zawahiri

Il politologo ipotizza che potrebbe essere stata la risposta degli islamisti alle parole che ha pronunciato il presidente degli Stati Uniti in seguito all'uccisione di Ayman al-Zawahiri, leader formale di al-Qaeda. Il presidente Biden aveva affermato che giustizia era stata fatta, in quanto era uno dei responsabili dell'11 Settembre che ha seminato una scia di sangue americano. “Potrebbe avere una portata simbolica questo attacco, per lanciare il messaggio che ‘anche noi possiamo aspettare molto tempo ma prima o poi giustizia è fatta’. Non è certo l'unica ipotesi”, ha sottolineato Moïsi.

Il politologo ha poi pensato agli attacchi israeliani recenti contro gli islamisti della Jihad islamica, la storica alleata di Teheran. Oltre che all'iraniano che è stato accusato negli Stati Uniti del complotto per uccidere Joun Bolton, l'ex consigliere per la sicurezza nazionale. L’Iran potrebbe voler mandare un segnale forte proprio mentre è in atto il negoziato sul nucleare dopo un lungo fermo.

“A un anno dalla salita al potere a Teheran del presidente ultraconservatore Ebrahim Raisi, la situazione economica è catastrofica per effetto soprattutto della pesante politica sanzionatoria inaugurata da Washington nel 2018 dopo l'abbandono dell'accordo sul nucleare; le opposizioni sono più forti, e per quanto insidiato da più parti il regime si può giocare la carta dell'estremismo per mostrare invece che riesce a essere efficace”, ha infine asserito Moïsi.

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