Messi, il re di Barcellona che ha tradito la Catalogna

Il «10» da sempre indifferente alla causa separatista È pronto ad andarsene se la regione lascerà Madrid

Messi, il re di Barcellona che ha tradito la Catalogna

Lionel Messi ama il Barcellona. Un po’ meno Barcellona. Lionel Messi incassa 35 milioni all’anno per vestire la maglia blaugrana del club catalano ma ha voluto che venisse messo per iscritto, nel nuovo contratto, che in caso di indipendenza della Catalogna lui sarà libero di fare i bagagli e di andarsene altrove, senza che lo stesso Barcellona pretenda di riscuotere la clausola rescissoria di settecento milioni di euro. Libero di scegliersi un Paese dove giocare a football, perché, lui argentino di nascita e di fede, non vuole avere nulla a che fare con le beghe di Carles Puigdemont e di Mariano Rajoy, non è roba sua, non la sente, non la discute, non ne vuole nemmeno parlare, a differenza di alcuni suoi sodali di spogliatoio, come Gerard Piqué, capo banda dell’indipendentismo o Pep Guardiola che ha aggiunto la sua firma alla lista degli influencer che possono cambiare le opinioni e le scelte politiche.

La Catalogna libera è un argomento che infastidisce e imbarazza il mondo del calcio spagnolo. Se il Real Madrid era e rimane il simbolo del potere politico della capitale e della monarchia, il Barcellona conserva la sua matrice diversa ma sa benissimo che un eventuale scorporo del proprio territorio dal resto del paese provocherebbe un clamoroso terremoto sportivo ed economico. Il club, infatti, non potrebbe continuare ad iscriversi e a giocare nella Liga, insieme con le altre squadre, il presidente del governo calcistico spagnolo, Tebas, è stato chiaro e non lascia o via di uscita: «Soltanto Andorra può far parte della nostra organizzazione, qualunque altro nuovo ente o Paese sarebbe fuorilegge». Dunque Messi ha fatto bene i suoi calcoli, anche irridendo l’Italia. Infatti la clausola di liberazione ricorda che se il club non potrà competere con tornei di primo livello, come quello inglese, francese e tedesco, lui, Lionel, si considererà svincolato. Dunque la serie A nostra non viene considerata, a livello contrattuale, di peso rilevante rispetto ai top continentali. Uno schiaffo, un insulto, forse la verità acida. Ma questo è un dettaglio professionale.

Lionel Messi è indipendente lui dalla Catalogna e dalla politica chiacchierata e di fazione. Di sicuro non c’è catalano più illustre del campione argentino ma lo stesso Lionel si tiene lontano dalla disputa e ha costruito una enclave rosarina, della sua città natale, Rosario, è più argentino oggi di quando sbarcò in Europa, non gli garba parlare in catalano e una sola volta, sette anni fa, si lasciò andare, dopo una vittoria e qualche bicchiere in più, a un «Visca el Barca, visca Cataluna y aguante Argentina, la concha de su madre», tralascio l’ultima espressione volgare e di grande effetto per i tifosi, ma il «viva», in lingua catalana, riservato alla squadra e all’Argentina lo resero ancora più eroe e idolo di prima. Restò, comunque, un episodio, isolato. Messi è personaggio globale, senza identità politica, accade spesso nel mondo del football, per non intossicare i rapporti con i tifosi, con il club e con il resto del circo calcistico.

A Barcellona, in verità, c’è stato un caso opposto, quello dell’olandese Johan Crujiff che si integrò a tal punto nella vita sociale catalana da chiamare il proprio figlio Jordi, variante catalana di Giorgio ed esprimendosi regolarmente, nelle interviste, in lingua catalana.

Di certo la clausola scritta del contratto di Messi va a confermare lo spirito indipendentista ma mercantile del fuoriclasse argentino che ha uno speciale passaporto diplomatico internazionale e dunque non intende affatto limitarne l’utilizzo. I tifosi della squadra blaugrana si spaccano: da una parte il popolo di Messi, dall’altra il partito dell’indipendenza. In mezzo ci sono 700 milioni e una valigia.

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