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Primarie New Hampshire, vincono Trump e Sanders

Batosta per Hillary Clinton, che si ferma al 38% contro il 60,4% di Sanders. Tra i repubblicani netta vittoria di Trump (35,3%), davanti a John Kasich (15,8%). A seguire un agguerrito terzetto: Cruz, Bush e Rubio

Primarie New Hampshire, vincono Trump e Sanders

Tutto come nelle previsioni. In New Hampshire hanno vinto i favoriti: Donald Trump e Bernie Sanders. Con il 35,3% dei voti il miliardario di New York ha più che doppiato il secondo, fermatosi al 15,8%. Il "socialista" Sanders, invece, ha distanziato di circa 20 punti Hillary Clinton (60,4% contro 38%). La vera sorpresa è rappresentata dal "podio" in casa repubblicana. Qui, avevamo detto, sarebbe stata la vera corsa. Il responso è stato chiaro: Ted Cruz e Jeb Bush sono finiti quasi alla pari (11,7% e 11,0%), superati da un sorprendente John Kasich, governatore dell'Ohio, che ottiene il 15,8%. Delude Rubio, fermatosi al quinto posto con il 10,6%. Più distanziati Christie (7,4%), Fiorina (4,1%) e Carson (2,3%).

Ancora lontani dall'aver individuato chi sarà il proprio candidato in corsa per la Casa Bianca, i repubblicani esultano per i problemi in casa altrui: "Niente può mascherare la sconfitta devastante di Hillary Clinton - ha commentato il numero uno del partito repubblicano, Reince Priebus - in uno stato che per decenni è stato dalla parte dei Clinton". Donald Trump sale sul palco trionfante e si gode il netto successo: "Renderemo l'America ancora grande". Accompagnato da tutta la sua famiglia, ringrazia i suoi genitori e lo staff. Il pubblico in giubilo lo applaude, gridando "Usa, Usa". Trump, a sorpresa (ma non troppo) si congratula con Bernie Sanders per la vittoria.

Tensione alta tra i democratici. Davanti ai propri supporter riuniti a Manchester Hillary Clinton riconosce la sconfitta e fa le congratulazioni a Sanders, accolte con applausi dai fan del senatore, al quartier generale di Concord. Ma quando l'ex segretaria di Stato rimprovera a Sanders i suoi attacchi, dai maxi schermi collegati con l'aula magna viene duramente contestata dai sostenitori del senatore del Vermont. Il clima si surriscalda. Ma Sanders getta acqua sul fuoco, auspicando che il partito democratico "possa rimanere unito per impedire all'ala destra dei repubblicani di vincere la presidenza". E ha anticipato che "domani (oggi, ndr) vado a New York ma nessuna raccolta a Wall Street". Sull'onda dell'entusiasmo Bernie Sanders promette: "Vinceremo in tutto il Paese, dal Maine alla California. Vinceremo perché il governo di questo Paese appartenga a tutta la gente, e non solo a un gruppo di persone", sottolineando come "il popolo vuole il vero cambiamento". La parola d'ordine, dunque, torna ad essere "change", che declinata nel fortunato slogan "yes we can" portò fortuna a Obama. Se Hillary si presenta come la continuatrice della politica obamiana, Sanders si "vende" come il prosecutore del sogno del cambiamento del presidente.

Hillary prende la sconfitta con filosofia, o almeno ci prova: ai suoi elettori promette di continuare a combattere per "ogni voto" e per dare al Paese "soluzioni reali". "Sono abituata a cadere, per questo capisco la sorte di tanti americani e come loro mi rialzerò", ha affermato, riconoscendo che il cammino verso la Casa Bianca "non sarà facile" e riconoscendo soprattutto il lavoro che resta da fare con i giovani. "Può essere che loro non mi sostengano, ma io continuerò a sostenerli".

In campo repubblicano si registra la "resurrezione" di Jeb Bush. Dato ormai per disperso dai radar, si rilancia con un buon terzo posto e, soprattutto, ridimensiona le smanie dell'ex delfino Rubio. "La campagna non è morta", esultano al quartier generale di Bush, dove si respira un clima di rinascita. La sfida di Jeb, in vista delle primarie nel sud del Paese e poi del Super Martedi, è quella di ricompattare l'establishment del partito repubblicano attorno alla sua candidatura. Convincendolo a lasciare al suo destino Marco Rubio, su cui molti avevano puntato nelle ultime settimane. E imponendosi come l'unico moderato in grado di evitare che la nomination vada a due "estremisti" come Trump e Cruz.

La sfida tra i moderati, però, si arricchisce dopo l'exploit di Kasich.

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