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Il ranger italiano che combatte i bracconieri in Africa

IlGiornale.it ha intervistato Davide Bomben che dal 2008 addestra le truppe contro i cacciatori di frodo. Dietro al business del bracconaggio ci sono spesso anche organizzazioni terroristiche di matrice islamica

Il ranger italiano che combatte i bracconieri in Africa

Si chiama Davide Bomben e dal 2008 ha un solo obiettivo: combattere il bracconaggio in Africa. Trentotto anni, con un passato nelle forze di sicurezza privata è l’istruttore capo alla Poaching Prevention Academy (PPA), l’organizzazione che in Namibia e in altri paesi africani addestra le truppe contro i cacciatori di frodo.

Il giro di soldi che arriva dal bracconaggio è altissimo. Le zanne d’elefante sono pagate sopra i due mila dollari al chilo, mentre le corna di rinoceronte arrivano ad essere pagate anche novantamila. Dietro a questo ricchissimo business ci sono spesso anche organizzazioni terroristiche di matrice islamica che stanno insanguinando l’Africa e che usano i proventi per acquistare le armi. Sembrerebbe, infatti, che oltre il quaranta per cento del fatturato di Al Shabaab e Boko Haram, arriverebbe proprio dai traffici illegali di zanne e corna.

Di cosa si occupa la Poaching Prevention Academy?

Siamo un’accademia di formazione per ranger impegnati nella conservazione e protezione degli animali minacciati dal bracconaggio. Formiamo personale locale e straniero affinché le competenze acquisite siano all’altezza del duro compito richiesto. Siamo nati come accademia on-demand per aiutare due riserve sudafricane, poi siamo stati chiamati in Namibia dove, dopo poco, ci hanno chiesto di rimanere e di stabilire la nostra struttura. Attualmente siamo presenti in Namibia, Sudafrica, Botswana, Zambia, Kenya e Congo. A breve saremo anche in Tanzania.

In cosa consiste l’addestramento dei ranger?

I ranger devono avere una formazione ecologica e tattica. Il corso completo si divide in tre step e nove livelli, per un totale di circa sei mesi di addestramento. Alla fine di questi, il ranger ha acquisito sufficienti competenze da essere considerato un aiuto istruttore. La formazione si divide in due principali aspetti. Il primo teorico e conservazionistico, dove si impartiscono lezioni sull’ecologia, sulla conservazione degli ecosistemi, sull’etologia dei grandi mammiferi, raccolta informazioni e fotografia. Il secondo, molto pratico, verte su aspetti più tattici come il pronto soccorso remoto, le tecniche di pattugliamento, l’impiego di armi, la difesa personale ed il controllo varchi, accessi e veicoli. Inoltre i ranger imparano tecniche di sopravvivenza in savana, formazioni per il pattugliamento e tecniche di mimetismo. Le aree formative sono tutte molto simili, necessitiamo di aule per la formazione teorica e di un poligono.

Lei dove è stato addestrato?

Sono stato addestrato in Sudafrica da personale internazionale, prevalentemente da ex forze speciali UK australiane, per diventare Ranger Special Unit, poi sono stati i miei stessi istruttori a farmi proposte diverse dalla sicurezza ambientale. Mi sono quindi specializzato nella sicurezza privata a medio ed alto rischio con aziende sudafricane ed israeliane. Ho lavorato nella security e poi sono tornato al mio vecchio e grande amore: la natura. Oggi sono istruttore per molte aziende di security e collaboro con molte realtà sia governative sia private.

Alcuni vi considerano dei contractor…

Al di là del fatto che l’attività della PPA è solo e soltanto formativa, di consulenza e di advisory, non siamo impegnati in attività repressiva del fenomeno, ma ci occupiamo di rendere più efficaci ed efficienti gli operatori già impiegati nelle riserve e nei parchi. Potremmo dire che siamo dei training contractors perché i nostri contratti, appunto, sono legati a formazione e consulenza. Noi amiamo considerarci dei conservazionisti in uniforme, la presenza di armi è solo legata al fatto che i bracconieri non usano solo trappole, ma sono pesantemente armati. Inoltre ci siamo resi conto che negli ultimi 12 anni c’è stata una vera evoluzione del fenomeno, ovvero siamo passati “dall’infradito all’infrarosso”. I bracconieri di una volta, infatti, erano poveracci con armi e tecniche improvvisate. Oggi sono addestrati, spesso sono ex militari o ancora in servizio e con molti più equipaggiamenti e fondi dei ranger.

Che armi vengono utilizzate per combattere i cacciatori di frodo?

In circa dieci anni di attività sul territorio ho visto un po’ di tutto. La fanno da padroni le piattaforme AK e derivati e G3, spesso trovo ancora qualche FAL, alcuni M16 e, soprattutto in Africa australe, gli LM5, copie sudafricane degli R5, evoluzioni del Galil israeliano. In molte riserve si usano i calibri 12, sia pump action sia semi auto, mentre i meno fortunati girano con pesanti e poco utili 374 e 458 bolt action, armi poderose per la caccia ai pachidermi, ma davvero poco utili per svolgere il nostro lavoro. Grazie alla italianissima ADC Armi Dallera Custom, presto avremo sei nuovissimi PPR (Poaching Prevention Rifle), piattaforme M4 create espressamente per la nostra attività.

Come funzionano le azioni anti bracconaggio?

Le unità di prevenzione, contrasto ed antibracconaggio sono l’extrema ratio di una catena lunga e molto contorta fatta di conservazione, ecoturismo e soldi. Ci consideriamo una linea verde sottile che funge da protezione, ma siamo l’ultima linea difensiva. Prima ci sono i governi e le loro leggi, il senso civico delle comunità locali, l’immagine del Paese acquirente - quasi tutti orientali -, l’ignoranza di chi alimenta il mercato, le organizzazioni malavitose e terroristiche ed il turismo. Il turismo è un aspetto molto importante. Se solo tutti i sedicenti conservazionisti decidessero di passare le proprie vacanze nei parchi o nelle riserve dove sono presenti rinoceronti ed elefanti, il bracconaggio crollerebbe in modo drastico. Il lavoro dei rangers è quello di pattugliare il territorio, notare elementi che riportino ad intrusioni ed attivarsi per essere un forte deterrente contro i bracconieri.

Molti rangers hanno perso la vita…

Ogni anno muoiono oltre mille ranger nel Mondo, oltre metà in Africa. Molti muoiono a causa degli animali che salvaguardano. Moltissimi muoiono a causa di zoonosi, le malattie derivanti da animali, ed altrettanti a causa di morsicature e punture varie. Poi ovviamente ci sono anche gli scontri a fuoco. Dall’inizio dell’anno sono già una decina i ranger uccisi in Africa durante i combattimenti. L’ultimo era un pilota militare britannico abbattuto mentre era nel suo elicottero.

Le autorità africane supportano il vostro lavoro?

Le autorità africane svolgono un lavoro complessissimo e la presenza di stranieri alla ricerca di fama ha reso gli organi governativi meno allettati dalla nostra presenza. Un’organizzazione americana ha usato l’immagine di una ex soldatessa, meccanico di mezzi militari, come testimonial della sua campagna in Tanzania. A causa delle sue deliranti interviste, dove parlava di decine di bracconieri fermati e bad guys abbattuti, quella organizzazione è stata cacciata dal Paese e, di conseguenza, tutti noi siamo stati visti come poco interessanti. Per nostra fortuna noi lavoriamo in modo del tutto legale. La dimostrazione più palese è proprio l’accademia in Kenya dove il nostro istruttore, Massimo Vallarin, è riconosciuto dall’ente governativo preposto alla conservazione della biodiversità. Ed ancora i nostri protocolli formativi sono al vaglio di tre governi locali per essere adottati come Standard Operational Procedures (SOP) delle loro attività di contrasto al bracconaggio.

Che business c’è dietro al bracconaggio?

Il bracconaggio è il quarto business illegale più lucrativo dopo traffico di esseri umani, droga ed armi. Non stupisce infatti sapere che sono le stesse organizzazioni malavitose dedite a droga, prostituzione ed armi, che gestiscono il ricco affare del bracconaggio. Inoltre, visto il continente, sono organizzazioni terroristiche di matrice islamica ad alimentare ed armare i bracconieri, certi di un ritorno immenso dei loro traffici. Si è stimato che in tre anni siano stati abbattuti più di sessanta mila elefanti e quattro mila rinoceronti, per un business complessivo spaventoso di circa 10/12 miliardi di dollari. Se si considera che gli intermediari recuperano il dieci per cento del giro d’affari complessivo, le organizzazioni terroristiche come Al Shabaab e Boko Haram, potrebbero guadagnare svariati milioni di dollari da questa piaga. Ormai il bracconaggio non è un problema solo di conservazione, ma anche di lotta al terrorismo.

Il vostro lavoro ha portato a dei risultati concreti?

Non amiamo essere troppo autocelebrativi ma veniamo sempre più spesso contattati da organizzazioni governative e paragovernative, questo significa che il nostro impegno qualche frutto lo ha portato.

Le strategie che facciamo adottare sembrano essere molto efficaci e sono il frutto della conoscenza delle abitudini animali e di una buona dose di tattica.

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